giovedì 26 febbraio 2015

Raro Filmato del Chofetz Chaim

CONVEGNO DELL'AGUDAT ISRAEL (VIENNA 1923)

Partecipanti

0:27 Rav Avrohom Tzvi Perlmutter, Av Bet Din, Warsavia
0:47 Rav Yisroel Friedman, Chortkover Rebbe
0:57 Il Chofetz Chaim, accompagnato dal figlio e il nipote, R. Kaplan
1:47 R. Yitzchok Zelig Morgenstern, Admor di Sokolov
1:57R Dr Asher Michoel Cohen, Av Bet Din, Basilea
2:05 R Yehuda Leib Tzirelson, Av Bet Din, Kishinev
2:22 R Elchonon Wasserman
2:28 R Asher Mendelson, Agudah, Polonia
2:56 R. Dr. Pinchas Kahan, Av Bet Din, Ansbach
3:02 R.Tuvia Horowitz, Av Bet Din, Sanok
3:16 Moreinu R Yaakov Rosenheim, Pres. Agudah
3:55 R. Dr. Leo Jung, The Jewish Center, New York
3:16 R. Dr. Meir Hildesheimer, Berlino
3:58 R. Spitzer, Agudah, Ungheria
4:13 R Chatzkel Sarna, Rosh Yeshivat Chevron
4:28 R Moshe Blau, Yerushalayim
4:34 R Dr Tuvia Levenstein, Av Bet Din, Zurigo
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mercoledì 19 giugno 2013

KASHER, COSTI E FLESSIBILITÀ

In un articolo sull'edizione di giugno di Shalom, pubblicato su Kolot, dal titolo "Mangiare kasher non può essere un lusso", Pierpaolo Pinhas Punturello solleva il problema, per altro condivisibile, del costo elevato del cibo kasher in Italia.

L'autore osserva giustamente che non è corretto prendersela col commerciante “capitalista”. La soluzione consisterebbe invece nel sostituire i prodotti con certificazione kasher venduti nei negozi comunitari con prodotti “permessi” venduti al supermercato.

Per far ciò l'autore suggerisce, in modo per lo meno ambiguo, la necessità di essere flessibili con l'halachà poggiandosi su “facilitazioni anche internazionali” per abbassare i prezzi. E si chiede se per far tutto ciò sia accettabile incorrere in “rischi di legittimità per la nostra rabbanut d’Italia”.

A supporto della sua tesi l’autore porta l’esempio del bet din di Boston che nel 1974 ha proibito l’acquisto di uva ottenuta attraverso lo sfruttamento di lavoratori messicani per la produzione di vino kasher.

In questo modo il bet din di Boston “ha accolto l’idea che la kashrut di una produzione di vino passasse anche per elementi non tecnicamente legati al vino stesso”. Da qui il salto logico secondo il quale “in un momento così critico per la dignitosa sopravvivenza di molte famiglie ebraiche italiane sarebbe giusto halachicamente ampliare gli orizzonti dell’acquisto kasher.”

Fin qui la sintesi dell’articolo. Ecco le obiezioni.

L'esempio di Boston non è assolutamente un precedente

Senza dubbio il bet din di Boston ha ampliato gli orizzonti della valutazione di quello che è considerato kasher, includendo anche elementi non strettamente collegati alla kashrut del vino.

Il bet din in questione ha portato però alla luce trasgressioni halachiche ben definite (oppressione del lavoratore) durante il processo di produzione del vino, le quali sono anche delle violazioni della legge statunitense. E non motivazioni economiche della comunità ebraica.

L'aspetto più rilevante è però che il bet din di Boston non ha utilizzato tali aspetti (non strettamente collegati al vino) per permettere il vino, ma per proibirlo! E l'impatto atteso di tale decisione è l'aumento e non la riduzione dei costi di produzione del vino. Non si tratta quindi di un esempio di facilitazione dell'halachà per motivi economico-sociali. Semmai il contrario.

Mi pare quindi estremamente scorretto portare questo esempio a supporto della necessità di operare “facilitazioni extra-halachiche” nell’applicazione dell’halachà.

L'halachà è già di per sé sensibile alle questioni economiche

Chi è a conoscenza del processo halachico sa benissimo che le considerazioni di tipo economico, specialmente se pesano sulla collettività, sono già parte integrante del processo di decisione dell’halachà.

Un esempio, ma ve ne sono tantissimi altri, è quello della definizione di carne kasher da parte del Remà (la massima autorità halachica nel mondo ashkenazita) in cui vengono rilassati alcuni requisiti rispetto alla carne glatt kosher (ovvero kasher senza "facilitazioni") proprio per permettere il consumo di carne bovina in periodi ben più problematici dal punto di vista economico (il medioevo) di quelli attuali.

Inoltre l'halachà non è solo una questione di perdere o meno la "reputazione" internazionale o di decisione democratica degli iscritti, ma piuttosto di rispetto o meno delle norme della Torà. Chiedere ulteriori “facilitazioni” consiste non nell’applicazione facilitante dell’halachà quanto nell’uscita dall’ambito dell’halachà stessa. E quello che rende ancora più perplessi è il fatto che a proporre tale strada sia qualcuno che precede il proprio nome con la parola rav.

In altre parole trattandosi di un problema halachico (tra l’altro non nuovo), se la domanda è "quali facilitazioni vi possano essere in caso di difficoltà economiche diffuse", essa va posta ad un serio posseq halachà (decisore halachico).

Non si possono ridurre i costi senza fare compromessi sulla kashrut?

Al di là di quanto detto, chi scrive si chiede: è sicuro l'autore che l'unica strada da battere sia la classica via italiana (anche questa non nuova) di fare compromessi sull'halachà per risolvere i problemi (nel nostro caso la riduzione dei costi)?

In particolare in un paese come l’Italia che esporta cibo (non kasher, ma anche kasher) in tutto il mondo, non è forse il caso di cercare soluzioni che riducano il costo dei prodotti kasher senza fare compromessi (ulteriori a quelli già previsti) sulla definizione di cosa sia kasher?

All’estero prodotti di ogni genere con certificazione rabbinica sono reperibili a costo relativamente moderato. E dato che la crisi economica non è un problema esclusivamente italiano, credo che gli esempi internazionali un po’ più costruttivi di quello presentato non manchino.

Cordialmente

Michele Cogoi
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giovedì 18 aprile 2013

Q&A: È VIETATO ANDARE IN BICI DI SHABBAT?

È proibito andare in bicicletta durante lo Shabbat anche nel caso in cui ci sia un eruv chatzerot. Tale proibizione vale anche per i bambini.

A meno che non vi sia un uso locale contrario, si può permettere ad un bambino di andare sul triciclo in casa o fuori di casa in un luogo in cui ci sia un valido eruv chatzerot. Purchè tale triciclo non sia elettrico e non abbia le ruote gonfiabili. Ciò vale anche per il monopattino (skateboard) o i pattini (roller-blade).

Un paio di raccomandazioni. È preferibile togliere il campanello prima di Shabbat per evitare che il bambino lo suoni. Nel caso in cui vi sia un guasto (per esempio il triciclo abbia perso una ruota) non è permesso ripararlo e il triciclo rotto diventa mukze.

Tra le varie spiegazioni sul perchè sia proibito andare in bicicletta di Shabbat ne cito due. La prima è che si vuole prevenire che in seguito ad un guasto si ripari la bicicletta. La seconda è che si tratta di un'attività non confacente lo Shabbat.

Fonte: Shmirat Shabbat Ke-Ilchatà (nuova ed., 16, 18). Vedi anche Rav Ovadia Yosef shlit'a (Chazon Ovadia, Shabbat 4, 43).
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lunedì 8 aprile 2013

MITZVOT CON... L'ANTIFURTO

Tra Pesach e Shavuot vi è l’uso di studiare i Pirke’ Avot. Particolarmente interessante è il commento ai Pirke’ Avot di Rabbenu Yona di Girona. Secondo Rav Shlomo Wolbe z.tz.l. (Ale Shur pag. 29) si tratta di un commento fondamentale e necessario per chi voglia crescere spiritualmente. Vediamone un esempio.

Nella prima mishnà dei Pirke’ Avot, dopo la spiegazione della catena di trasmissione della Torà, vengono presentati i tre elementi necessari per mantenerla ed applicarla. L’ultimo dei tre è asù seiag la-Torà, il requisito di erigere un argine a protezione della Torà. Come è noto, si tratta dell’aggiunta di norme e precetti da parte dei nostri Maestri z.l. per impedire la trasgressione, anche solo involontaria, dei precetti della Torà.

Molti sono portati a credere che si tratti di norme senza una funzione in se e per sè, ma accessorie e quindi di secondaria importanza. Ma vedremo, attravero il commento di Rabbenu Yona, che non è così.

Innanzitutto va detto che non si tratta di un’iniziativa dei nostri Maestri z.l., ma l’applicazione del passuk ushmartem et mishmartì (“salvaguardate la mia legislazione”, Vaikrà 18, 30) con il quale la Torà richiede ai nostri Maestri z.l. di stabilire norme aggiuntive a protezione della Torà. E anche se tale compito è affidato ai Maestri z.l., tali norme aggiuntive sono in ultima analisi richieste dalla Torà stessa (Yevamot 21a).

Ma perchè è necessario aggiungere delle norme? Un esempio può chiarire. Un giovane ha un desiderio insaziabile per del cibo non kasher. Il padre lo ammonisce: “se entri in un ristorante non kasher ti punirò in modo molto severo”. Ovviamente il padre vuole evitare l’effetto nocivo del cibo non kasher sull’anima del figlio. La madre, che conosce bene la debolezza del figlio, vuole anche evitare che il figlio incorra nella punizione del padre. E chiede al figlio di tenersi a ulteriore distanza dal ristorante non kasher per non venir attirato da insegne e profumi. La norma ulteriore non è una restrizione meccanica, ma è dettata dall’incondizionato amore materno per il proprio figlio.

Già da quanto detto finora si comprende che non si tratta di norme accessorie e secondarie, ma parte integrante e necessaria per l’osservanza della Torà. (Rashi, Bartenura e Rabbenu Yona).

Rabbenu Yona spiega che chi osserva le parole dei Maestri z.l. ha più a cuore il timore di D-o di chi osserva solo la mitzvà comandata dalla Torà. Un ribaltamento totale di quanto avevamo inizialmente compreso. Vediamo come.

Chi osserva la mitzvà della Torà, ma infrange le parole dei Maestri z.l. ha sì a cuore l’osservanza della mitzvà, ma non è per nulla preoccupato di giungere, anche solo involontariamente, a trasgredire la mitzvà stessa.

A questo riguardo, Re Salomone dice in Kohelet (Ecclesiaste 10, 8) che “chi butta giù un muro, viene morso da un serpente”. Spiega Rashi che il muro a cui si riferisce Re Salomone è proprio il “nostro” argine, ovvero le norme rabbiniche atte a proteggere la Torà. E il morso del serpente non è solo una punizione dal Cielo, ma è il risultato naturale che deriva dal fatto che le pietre di un muro sgretolato sono il luogo in cui vivono i serpenti.

Pertanto, spiega Rabbenu Yona, le parole dei nostri Maestri z.l. sono la base del timore di D-o. E il timore di D-o è quanto di più importante c’è nelle nostre vite. Dice infatti il passuk “cosa di chiede Hashem, il tuo D-o? Solo di aver timore [in Lui]” (Devarim 10, 12). In altre parole il timore di D-o è l’obiettivo centrale e le mitzvot stabilite dalla Torà sono, per così dire funzionali a tale scopo. E le mitzvot stabilite dai rabbini sono necessarie proprio a dimostrare il timore di D-o.

Un esempio può chiarire. Si pensi a due figli che hanno ereditato ognuno una collezione di quadri di Picasso. Il primo li espone nel proprio salone. Li ammira ogni giorno e spiega ai propri ospiti ogni minimo dettaglio delle opere. Un vero amante dell’arte. Il secondo fa lo stesso, ma in più installa un sofisticato sistema antifurto e antincendio per asicuarare che vengano conservati. E anche se, ex post, non avviene nessun furto o incendio, chi è che ha più a cuore i quadri di Picasso? Il primo o il secondo? E se il furto o l’incendio invece avviene? La risposta è ovvia.

Per questo motivo, spiega il Midrash (Shir Ha-Shirim Rabba 1) che quando il passuk dice “il tuo amore è meglio del vino” (Shir Ha-Shirim 1, 2) intende che D-o ha più a cuore le parole dei Maestri z.l. rispetto a quelle della Torà.

Chi è poco preciso nell’osservanza delle parole dei Maestri z.l. dimostra che, in fin dei conti, non ha a molto a cuore nè le parole della Torà nè il timore di D-o. E dato che manca l’ingrediente fondamentale, tale comportamento non solo conduce ad un’inevitabile trasgressione della Torà, ma ne mette anche a repentaglio la trasmissione alle generazioni successive. E se ce ne fosse bisogno: historia docet.

Si capisce quindi come nella prima mishnà in cui si spiega la catena di trasmissione della Torà dal monte Sinai alle generazioni successive, sia appropriato menzionare la necessità di porre degli argini alla Torà stessa. Solo così essa può essere osservata e trasmessa, pura e intatta, di generazione in generazione.

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giovedì 21 marzo 2013

SHABBAT HA-GADOL

Lo Shabbat che precede Pesach prende il nome di Shabbat Ha-Gadol, ovvero il Grande Shabbat (Shulchan Aruch, Orach Chaim 430, 1).

Il motivo di questo nome deriva dal fatto che subito prima dell’uscita dall’Egitto, il 10 di Nissan, venne comandato al popolo d’Israele di prendere un agnello o un capretto da offrire come korban Pesach (sacrificio pasquale) la vigilia di Pesach (Shemot 12, 3-13).

L’uscita dall’Egitto avvenne la sera del 15 di Nissan che era un giovedì (Seder Olam, 5) e quindi il 10 di Nissan era Shabbat. Dopo aver preso gli agnelli o i capretti, gli ebrei li condussero nelle proprie abitazioni e li legarono al letto. Gli egiziani chiesero cosa stessero facendo e la risposta fu che Ha-Kadosh Baruch-Hu aveva comandato di offrirli come sacrificio. Sentendo che intendevano sacrificare il proprio dio, gli egiziani digrignarono i denti, ma non poterono far nulla. E per il fatto che venne loro miracolosamente impedito di reagire, chiamiamo lo Shabbat che precede Pesach, Shabbat Ha-Gadol (Tur 430, 1; Kol-Bo 47; Shibole’ Ha-Leket 205). [1]

Innanzitutto non è chiaro cosa stupì così tanto gli egiziani. In fin dei conti era da oltre due secoli che gli ebrei vivevano in Egitto e si cibavono delle divinità egizie (agnelli e capretti), cosa abominevole per gli egiziani. [2] Perchè scandalizzarsi con due secoli di ritardo?

Lo Zohar spiega che la risposta degli ebrei fu un po’ più articolata rispetto a quanto detto finora. Essi spiegarono agli egizi che non stavano semplicemente cibandosi di agnelli e capretti come avevano sempre fatto, ma si trattava di un comandamento di Ha-Kadosh Baruch-Hu che aveva uno scopo ben preciso: l’agnello era la divinità principale nell’astrologia egiziana; sacrificando agnelli e capretti in questo mondo “inferiore”, veniva uccisa la divinità egizia corrispondente nei mondi “superiori”. Un vero e proprio affronto! (Zohar, Bo 39b; Bach, Tur 430, 1).

Ma qual è il signicato di tale comandamento, che tra l'altro è il primo comandamento compiuto collettivamente dal popolo d’Israele? Il midrash spiega che la maggior parte del popolo d’Israele in Egitto era idolatra e l’offerta del korban Pesach, il cui processo iniziò con la presa degli agnelli e capretti, costituiva l’abbandono dell’idolatria e la trasformazione della divinità stessa in un sacrificio offerto ad Ha-Kadosh Baruch-Hu, santificandone il nome (Kiddush HaShem) agli occhi degli egiziani. Si trattò di un passaggio drastico da idolatri schiavi del Faraone a servitori di Ha-Kadosh Baruch-Hu. Un passo necessario per “meritare” l’uscita dall’Egitto (Mechilta, Bo 11; Rashi, Shemot 12, 6).

Resta ancora da spiegare perchè gli egiziani si rivolsero agli ebrei chiedendo cosa stessero facendo dato che, come abbiamo visto, apparentemente compivano un’attività che avevano compiuto pubblicamente per centinaia d’anni. Inoltre, ogni altro avvenimento miracoloso avvenuto nella storia del nostro popolo viene ricordato e celebrato la data stessa in cui è avvenuto. [3] Perchè in questo caso invece di ricordare tale miracolo il 10 di Nissan, esso viene celebrato lo Shabbat precedente Pesach a prescindere dalla data in cui cade? [4]

Secondo Rav Mordechai Yaffe (1530-1612, noto come Baal haLevush o Levush) il motivo per cui il miracolo viene ricordato di Shabbat e non il 10 di Nissan è perchè esso avvenne grazie all’osservanza dello Shabbat. Gli egiziani sapevano che gli ebrei osservavano lo Shabbat (Shemot Rabba 1, 28) [5] ed erano stupiti dal fatto che in questa occasione, in apparente violazione dello Shabbat, si occupassero attivamente degli animali. Fu questo il motivo per il quale chiesero agli ebrei cosa stessero facendo. Cui seguì la risposta e il miracolo che abbiamo visto. E dato che è grazie all’osservanza dello Shabbat che avvenne il miracolo, è opportuno fissare tale data proprio di Shabbat (Levush, Orach Chaim 430, 1).

Di miracoli però ne abbiamo visti tanti, in particolare nella generazione dell’uscita dall’Egitto. Perchè ricordare proprio questo miracolo e non un altro? [6] Perchè D-o comandò di prendere gli animali per il korban Pesach proprio di Shabbat? Che collegamento c’è tra lo Shabbat e l’uscita dall’Egitto? E come comprendere che gli ebrei in Egitto erano idolatri, ma osservavano lo Shabbat?

Si può forse dire che fino a quel punto l’osservanza dello Shabbat fosse solo in “ricordo” della creazione del mondo (Shabbat Bereshit). Gli ebrei avevano infatti coscienza dell'evidente verità che D-o è il Creatore del mondo, ma non avevano coscienza del fatto che fosse coinvolto nella storia e nei destini del mondo e del popolo ebraico in particolare.

Ritenendo che le forze del mondo fossero indipendenti da D-o, le consideravano divinità così come gli egiziani e gli altri pagani. Attraverso il miracolo degli agnelli essi videro in modo chiarissimo la “mano di D-o” all’opera e si potè così risvegliare in essi la comprensione che D-o non è solo il Creatore, ma anche il Gestore del mondo. Da quel momento in poi lo Shabbat divenne anche una testimonianza del ruolo di Ha-Kadosh Baruch-Hu nella gestione del mondo. [7]

L’osservanza non puramente meccanica dello Shabbat, ma accompagnata dalla profonda comprensione del ruolo di D-o nelle nostre vite permise al popolo d’Israele di staccarsi dall’idolatria e di divenire servitori di Ha-Kadosh Baruch-Hu meritando che la presenza Divina (Shechinà) si posasse si di loro (Or HaChaim, Shemot, 12, 3). [8]

Pesach è proprio la festività in cui si celebra questa emunà (fede) che accomuna lo Shabbat all’uscita dall’Egitto. Attraverso il miracolo degli agnelli esso divenne un vero Shabbat, “ricordo” dell’uscita dall’Egitto. [9] Si tratta di uno Shabbat superiore allo Shabbat Bereshit e pertanto viene chiamato Shabbat Ha-Gadol (Chidushei Hagahot, Maharl’a). [10]

Ma se i nostri antenati in Egitto rispettavano lo Shabbat, come è possibile prendere gli agnelli, portarli a casa e legarli al letto senza trasgredire lo Shabbat? Se si prende un animale per strada e lo si porta nella propria casa si rischia di compiere una serie di attività proibite di Shabbat, tra le quali: intrappolare (zedà), acquistare (kinian) e effettuare compravendite (masà u-matan), trasportare in un dominio pubblico (tiltul be-reshut ha-rabim) e introdurre in un dominio privato (oza’a), muovere un oggetto proibito (mukze) e fare un nodo (kosher). Se si conoscono le regole dello Shabbat è possibile compiere tale attività senza trasgredire nessuna melachà (attività creativa primaria proibita dalla Torà) nè sh’vut (attività proibita dai nostri Maestri con l’autorità impartita dalla Torà stessa). Vediamo per sommi capi come.

Zedà (intrappolare). Dato che la melachà di zedà consiste principalmente nel limitare la libertà di un animale libero, essa non si applica ad animali che sono già abituati a stare sotto il dominio dell’uomo. Pertanto è permesso condurre animali addomesticati (come ad esempio pecore) nella propria abitazione e intrappolarli (per esempio fissandoli al letto). (Mishnà Berurà 316, 59). Gli animali rimangono però mukze e non è permesso spostarli.

Kinian (acquistare). È proibito effettuare un kinian (acquisto, presa di possesso) di Shabbat anche se ciò non comporta un pagamento. È possibile rimediare a questo problema acquistando gli animali prima di Shabbat. Nel nostro caso ciò sarebbe possibile dato che il comandamento era già noto a Rosh Chodesh. E comunque dato che gli ebrei erano pastori non è detto che ci fosse bisogno di acquistarli. In un luogo dove c’è un eruv è permesso prendere da un negoziante non ebreo degli oggetti che servano per lo Shabbat (resta da vedere se i “nostri” agnelli siano considerati necessari per lo Shabbat) senza però menzionare le parole “acquisto” o “vendita”. (Shmirat Shabbat Ke-Ilchatà nuova ed. 29, 17-18). Inoltre è permesso acquistare (kinian) oggetti che non abbiano un padrone (hefker). (Shmirat Shabbat Ke-Ilchatà nuova ed. 29, 32).

Oza’a (trasportare). Per quanto riguarda il trasporto degli animali, un eruv non aiuterebbe, perchè gli animali rimangono comunque mukze e non è permesso spostarli. Anche in assenza di eruv è permesso invece indirizzare gli animali verso la propria abitazione e farli entrare senza prenderli in mano o spingerli. (Shmirat Shabbat Ke-Ilchatà nuova ed. 20, 41; 27, 20 e 27, 35).

Kosher (annodare). Secondo Prisha (Orach Chaim 430, 1) fu proprio questa melachà che causò il miracolo menzionato da Rav Mordechai Yaffe. Gli egiziani sapevano infatti che è proibito agli ebrei fare un nodo di Shabbat, ma non sapevano che vi è una differenza tra un nodo permanente (che è proibito compiere di Shabbat) e un nodo non permanente (che in alcune circostanze è permesso compiere di Shabbat). [11] Alternativamente gli animali potevano semplicemente essere agganciati al collare (nel caso l’avessero) con un gancio o un moschettone.

Mukze. Gli animali sono considerati mukze mechamat gufo perchè non sono utilizzabili di Shabbat e non possono essere spostati con le mani. Ciò vale anche per gli animali domestici (Orach Chaim 308, 39). È possibile invece indirizzarli verso la propria abitazione e farli entrare senza prenderli in mano o spingerli. Vedi anche Pri MegadimMishbezot Zaav (430, 1) .

Michele Cogoi
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Note

[1] Vedi anche Ghemarà Shabbat (87b). Tosafot (Ve-oto yom) spiega il miracolo in modo diverso: gli ebrei presero il korban pesach il 10 di Nissan. Immediatamente i primogeniti egizi si riunirono e chiesero ad Israele cosa stessero facendo. Gli ebrei spiegarono che con il korban pesach verranno uccisi i primogeniti degli egiziani. Questi si rivolsero al Faraone per chiedere che lasciasse andare il popolo d’Israele, ma non ottennero alcun risultato. Scoppiò una guerra civile e morirono molti primogeniti ed egiziani com’è scritto “HaShem colpì Mizraim con i suoi primogeniti” (Hallel di Pesach, Tehillim 136, 10). Ovvero i primogeniti furono quelli che colpirono e non le vittime (Levush). Così spiegano il passuk Rashi e Mezudat David.

[2] E proprio per questo motivo, all’arrivo di Yaakov Avinu in Egitto con i popri figli (210 anni prima dell’uscita dall’Egitto) erano stati invitati a stabilirsi “in periferia” a Goshen (Bereshit 46, 31-34; Rashi in loco).

[3] Il korban Pesach venne macellato solo quattro giorni dopo e consumato (con matzà e maror) il giorno successivo; e durante tutto questo periodo gli egiziani miracolosamente non reagirono all’affronto. Non sarebbe più corretto ricordare come miracolosi tutti i giorni che vanno dal 10 al 14 di Nissan? La riposta è che il vero miracolo avvenne il primo giorno nel quale gli egiziani non reagirono al palese affronto. L’assenza di reazione nei giorni successivi è meno eclatante (Bet Yosef in loco).

[4] Una risposta è che il 10 di Nissan era un giorno di digiuno per la morte di Miriam (Shulchan Aruch, Orach Chaim 580, 2) e non si volle che diventasse un giorno di gioia (Taz, Shulchan Aruch, Orach Chaim 430, 1). Un’altra risposta è che, nella generazione successiva all’uscita dall’Egitto, il popolo d’Israele attraversò il Giordano che miracolosamente si aprì proprio il 10 di Nissan (Yehoshua 4, 19) e non si volle che tale miracolo offuscasse il precedente. Dato che il miracolo del korban Pesach avvenne di Shabbat e l’attraversamento del Giordano no, si optò quindi per lo Shabbat anzichè il 10 di Nissan per indicare chiaramente quale miracolo si celebra (Bach, Tur, Orach Chaim 430, 1). Resta comunque ancora da capire perchè, per ovviare a questi problemi, non si decise piuttosto di spostare la data della celebrazione ad un giorno successivo come avviene in altri casi.

[5] Già Avraham Avinu rispettava tutta la Torà incluse le mitzvot derabbanan (comandate dai Maestri). Vedi Yoma (28, b). Per quanto riguarda il rispetto dello Shabbat prima che venisse data la Torà vedi Sanhedrin (56, b).

[6] Una spiegazione simile a quella del Levush risponde a questa domanda. Gli egiziani volevano combattere contro il popolo d’Israele per vendicare l’affronto subito. Gli ebrei avrebbero vinto, pochi contro molti, sul campo di battaglia. E sarebbe stato un miracolo nascosto (nes nistar). Ma difendere la propria vita sul campo di battaglia avrebbe comportato una violazione, pur legittima, dello Shabbat. L’amore per lo Shabbat era così forte che doleva molto agli ebrei doverlo violare. Per rispettare questo volere HaShem mandò un miracolo evidente (nes mefursam) che impedì agli egizi di combattere (Kelbon Ha-Shekel).

[7] L’atto di sacrificare gli agnelli e i capretti ha un significato simbolico atto a dimostrare che anche il mazal dell’agnello, che nell’astrologia egiziana rappresentava la divinità principale, doveva sottostare al volere di D-o, come è scritto “gli astri seguono il volere di D-o” (Daniel 4, 32). E gli ebrei dovevano rendere pubblico agli occhi degli egiziani questo principio. (Kelbon Ha-Shekel). E dato che tale mazal è dominante nel mese di Nissan, si voleva dimostrare che il popolo d’Israele non uscì dall’Egitto grazie al volere degli astri, ma per volere di Ha-Kadosh Baruch-Hu (Ramban, Shemot 12, 3).

[8] Inoltre con il comandamento di prendere gli agnelli Moshè Rabbenu spiegò i “segreti” del korban Pesach come modo per abbandonare l’avodà zarà (idolatria) e divenire servitori di HaShem. Ed è lo Shabbat, giorno in cui siamo dotati di anima supplementare, il giorno ideale per comprendere la Torà. (Drisha). Ed è usuale che il Rav faccia una derashà importante durante questo Shabbat in cui si spiegano le halachot di Pesach.

[9] Nel testo del kiddush del venerdì sera, oltre a menzionare che lo Shabbat è zikkaron le-maase’ bereshit (“ricordo” della creazione) si menziona che esso è anche techila le-mikrae’ kodesh (prologo delle convocazioni sante, ovvero i moadim) e zecher liziat mizraim (“ricordo” dell’usicita dall’Egitto). Vedi anche nota successiva.

[10] Perchè proprio il nome Ha-Gadol? Riguardo alla Redenzione Finale è scritto: “D-o è riconosciuto in Yehudà; grande (gadol) è il Suo Nome presso [il popolo] d’Israel” (Tehilim 76, 2). “Sarò reso grande, santo e Mi farò conoscere agli occhi di molte nazioni; sapranno allora che sono HaShem” (Yechezqel 38, 23). (Drisha). Inoltre sia lo Shabbat che Yom Tov sono chiamati Shabbat dato che entrambi sono dotati di kedushà. Ma la kedushà dello Shabbat è superiore a quella di Yom Tov. E pertanto subito prima della prima festività (Yom Tov) è stato fissato uno Shabbat con il nome di gadol (grande) per indicare che esiste uno Shabbat katan (piccolo) con una kedushà inferiore, che è il Yom Tov di Pesach che lo segue (Chochmat Shlomo).

[11] È proibito anche compiere un nodo semplice che rimanga annodato per oltre 24 ore (Orach Chaim 317, 1). Secondo alcuni tale periodo è di 7 giorni. Ma si segue la prima opionione salvo in caso di mitzvà, come nel nostro caso (Shmirat Shabbat Ke-Ilchatà nuova ed. 15, 55). È possibile comunque che gli animali venissero slegati prima che fossero passate 24 ore, per esempio per uscire di casa per mangiare o per ogni altra necessità. Vedi anche Elia Zuta, Malbushe’ Yom Tov e Elia Rabba.


 
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giovedì 9 febbraio 2012

SOLDI E TORÀ

Quando D-o promise ad Avraham Avinu che i suoi discendenti avrebbero ricevuto la terra d'Israele, predisse anche l'esilio e l'uscita dall'Egitto.

Ma assieme a questi due cardini della nostra religione, nella profezia viene menzionato anche un altro particolare, ovvero che “usciranno [dall'Egitto] con grandi ricchezze” (Bereshit / Genesi 15, 14).

In questi versetti nei quali viene riassunto il destino e la storia del popolo d'Israele, il riferimento al poco prosaico danaro sembra un dettaglio irrilevante, se non addirittura fuori luogo.

Quattro secoli più tardi, prima di uscire di gran fretta dall'Egitto, Moshè Rabbenu comandò al popolo d'Israele di “prendere dagli egiziani oggetti d'argento, d'oro e vestiti. [ ] E svuotarono l'Egitto.” (Shemot / Esodo 12; 34-36). La profezia viene dunque rispettata.

Ma cosa rappresenta questo “prelievo”? Senza dubbio si tratta del rimborso legittimo di 116 anni di schiavitù e sfruttamento non pagati (di cui gli ultimi 86 di dura oppressione). Ed è stato anche un modo molto efficace per attirare gli egiziani a rincorrere il popolo d'Israele per riprendersi indietro i “propri” schiavi e le “proprie” richezze. E finire così con l'annegare nel Mar Rosso, come previsto dalla profezia data ad Avraham Avinu (“e giudicherò il popolo che li opprimerà”).

Queste spiegazioni non rispondono però alla nostra domanda iniziale: nella profezia di Avraham Avinu, nella quale in poche parole viene encapsulata la sublime storia del popolo d'Israele, perchè menzionare anche il “vil danaro”?

Come tutti i beni, anche i soldi possono essere utilizzati sia in modo positivo che negativo. Ma a differenza degli altri beni, i soldi hanno un fascino particolare: gli uomini sembrano ossessionati dall'ammassare denaro senza un fine ulteriore al denaro stesso.

Il midrash dice infatti che “chi ha cento monete d'oro, ne vuole duecento” (Midrash Kohelet Rabbà 1, 34). E Shlomo Ha-Melech (Re Salomone) spiega la ragione di tale comportamento: “chi ama i soldi, non è soddisfatto dai soldi” (Kohelet / Ecclesiaste 5, 9).

Il midrash, riferendosi al versetto del Kohelet, compara in modo sorprendente i soldi alla Torà e alle mitzvot, anche se nella scala materiale-spirituale essi stanno agli antipodi l'uno dell'altro (Rashi in loco e Vaikrà 22, 1-2). Come si spiega questo paragone?

Abbiamo visto che i soldi costituiscono un desiderio umano che trascende i limiti del finito. E tale desiderio insoddisfabile era stato sepolto dalla lunga e dura schiavitù egiziana. Prova ne è che durante l'oppressione egiziana, la preghiera del popolo d'Israele era solo quella di interrompere la durezza della schiavitù, ma nulla di più (Shemot / Esodo 2, 23 e Or Ha-Chaim in loco).

La Torà e i soldi hanno in comune questo aspetto. “Chi ama i soldi, non è soddisfatto dai soldi e chi ama la Torà non è soddisfatto dalla Torà” (Vaikrà Rabbà 22, 1). La parola kesef (argento, denaro) ha la stessa radice della parola kisufim (desiderio, ambizione). Chi studia la Torà vuole studiarne sempre di più. Chi osserva una mitzvà vuole subito compierne un'altra.

Si può quindi dare una risposta alla nostra domanda iniziale. I soldi erano il mezzo necessario per risvegliare nel popolo ebraico il desiderio per qualcosa che trascendesse le proprie vite. L'obiettivo non erano i soldi stessi, ma era quello di riaccendere la passione necessaria per ricevere la Torà. Una volta ricreato tale desiderio, era possibile utilizzarlo poi nel modo corretto, ovvero per lo studio e la pratica della Torà, culmine del processo di redenzione dall'Egitto.

Si comprende quindi la funzione della ricchezza nell'uscita dall'Egitto e nella profezia data ad Avraham Avinu: di risvegliare nell'uomo il desiderio e la pulsione verso l'Eterno.

Il versetto dice “la mia anima desidera (nichsefà) i giardini di D-o” (Tehillim / Salmi 84, 3). Bisogna però fare attenzione perchè la parola nichsefà può anche voler dire “tramutata in soldi”. Se il desiderio per i soldi prende il sopravvento, si perde per strada il “desiderio per i giardini di D-o”.

Ne deriva che la passione per i soldi che contraddistingue tanti individui, oggi come allora, non è un “male”, ma è anzi un segno di chi ambisce a grandezza. Si tratta però di un utilizzo improprio dato che sarebbe più opportuno indirizzare tale tratto caratteriale verso la sua funzione originaria che è quella della crescita spirituale attraverso lo studio e la pratica della Torà, la nostra vera ed eterna ricchezza.

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domenica 5 febbraio 2012

CHIAMA E STUDIA

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martedì 24 gennaio 2012

RICONOSCENZA

Durante le prime due piaghe (dam / sangue e tzefardea / rane) è Aron Ha-Kohen e non Moshè Rabbenu a prendere il bastone e a stendere il braccio sul Nilo per dare inizio alla piaga. Non era infatti appropriato che Moshè Rabbenu percuotesse le acque del fiume che l'aveva salvato subito dopo la nascita (vedi Rashi, Shemot 7, 19).

Lo stesso discorso vale per la terza piaga (kinnim / pidocchi) in cui non era appropriato che Moshè Rabbenu percuotesse la sabbia che aveva coperto il corpo dell'egiziano che aveva ammazzato per salvare un ebreo (vedi Rashi, Shemot 8, 12).

Da questi episodi si impara che se la Torà mostra gratitudine per un essere inanimato a maggior ragione si deve provare gratitudine e rispetto per un essere umano.

Il problema è però che mentre il Nilo ha effettivamente salvato Moshè Rabbenu, altrettanto non si può dire per la sabbia. Il fatto non viene per nulla "insabbiato" tanto che lo viene a sapere il Faraone il quale vuole ammazzare Moshè Rabbenu che è costretto a scappare dall'Egitto per salvarsi. La sabbia non è stata quindi di grande aiuto.

Da qui si impara che si deve essere grati non solo per chi ci fa del bene, ma anche per chi vuole e prova farci del bene, ma non ci riesce.

Le-yilui nishmat immì moratì Miriam bat Akiva
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mercoledì 18 gennaio 2012

AMA IL TUO PROSSIMO!

Sono diventato osservante in età relativamente avanzata. Avevo quasi trent'anni ed ero già sposato quando ho varcato per la prima volta le porte della yeshivà Or Sameach. Non ricordo l'intero percorso che mi ha portato all'osservanza, ma l'elemento senza dubbio più importante nella nostra decisione è stato il contatto con persone di una raffinatezza e profondità che non avevamo mai incontrato prima.

Gli ultimi vent'anni li ho passati scrivendo le biografie dei leader ebrei moderni. Ciò che accomuna le vite dei diversi personaggi che ho studiato è l'aver messo in pratica il comandamento della Torà secondo il quale “grazie a te il Nome del Cielo verrà amato”.

Negli anni '30 Rav Eliahu Eliezer Dessler, uno dei principali pensatori ebrei del secolo scorso, si manteneva a Londra insegnando ai giovani che frequentavano le scuole pubbliche. Diede istruzioni ad uno dei suoi studenti di dare una moneta ad ogni povero che incontrava per strada. Ad un altro suggerì di salire al secondo piano dell'autobus. Dato che per andare alla lezione doveva scendere dopo solo una fermata era probabile che il bigliettaio non lo raggiungesse in tempo. Il ragazzo, che era chiaramente riconoscibile come un ebreo religioso, dava le monete al passeggero che si trovava al suo fianco dicendo a gran voce: “il bigliettaio non è ancora passato, la prego di pagarlo per me”. La lezione è chiara: non si deve solo santificare il nome di D-o attravero le proprie azioni, ma si deve anche fare il possibile per mettersi in condizione di farlo.

Ogni opportunità era buona per insegnare la Torà. Una volta Rav Yaakov Kamenetsky, il grande saggio dell'ebraismo americano, si trovava nella sala d'attesa di un medico. Tolse di tasca una palla e si mise a giocare con un ragazzino. Quando gli chiesero se non si trattava forse di un comportamento inappropriato per una persona del suo calibro, egli rispose: “non so se questo ragazzo avrà un'altra opportunità di incontrare un vecchio ebreo con la barba bianca ed è importante che ne abbia un'impressione e un ricordo positivi”. Quando mancò, un gruppo di suore di Monsey scrissero una lettera in cui piangevano la perdita del vecchio rabbino che sorrideva sempre quando le incontrava durante le sue passeggiate.

Per tredici anni il Klausenberger Rebbe ha girato il mondo per raccogliere fondi necessari a costruire l'ospedale Laniado di Netanya. Quando venne a sapere che nell'ospedale veniva distribuito ai pazienti un opuscolo sulle regole di purezza familiare, diede istruzioni di fermare immediatamente tale distribuzione. Spiegò che l'ospedale non era stato creato per fare proseliti, ma per costituire un esempio del modo in cui si cura secondo la Torà. Il contratto dei medici prevede una clausola che impedisce loro di fare sciopero; l'ospedale è dotato di respiratori in abbondanza per non giungere mai a dover decidere chi riceve e chi non riceve un respiratore; gli studenti di medicina, ispirati dal Rebbe, sono disposti a passare giorno e notte al capezzale di pazienti dati per spacciati; e vengono utilizzate siringhe più costose in quanto meno dolorose. Il Rebbe era famoso per essere rigoroso nella shmirat enaim (il controllo di ciò che guardava). Ma dopo la guerra (nella quale perse moglie e undici figli), quando sentì che nei campi di rifugiati bellici alcune ragazze, distrutte dall'esperienza della guerra, avevano aperto un quartiere a luci rosse, andò di persona a prenderle per riportarle sulla retta via.

Ogni persona viene trattata con il più gran rispetto ed empatia. Una volta Rav Yaakov Kamenetsky e un altro rosh yeshiva entrarono in un taxi in cui vi era della musica a tutto volume. L'altro rosh yeshiva chiese al tassista di spegnere la radio, ma Rav Yaakov gli disse di non farlo. Spiegò che il lavoro del tassista è così monotono che non avevano il diritto di chiedergli di spegnere la radio. E citò un passo talmudico per corroborare la propria opinione.

Rav Shlomo Zalman Auerbach, il grande decisore halachico, non si scaraventava dal sedile dell'autobus se una donna non vestita secondo l'halachà si sedeva a fianco a lui. Per non farla restare male premeva il pulsante della fermata e si alzava come se volesse scendere.

Una famiglia ortodossa si prese carico delle spese per la cura della fertilità per una coppia non religiosa e li mandò in Israele a ricevere la benedizione da alcuni tzaddikim. Tra questi vi era anche Rav Nosson Zvi Finkel, il rosh yeshiva della yeshivat Mir scomparso qualche settimana fa. Quando giunsero a casa sua con un abbigliamento estivo che non si vede di solito a Meah Shearim, la rebbetzin abbracciò la moglie calorosamente e si complimentò con loro dicendo: “siete entrambi ebrei. C'è da essere fieri al giorno d'oggi che due ebrei si sposino tra loro”. La rebbetzin spiegò poi che il marito era un uomo talmente santo che per rispetto era bene coprirsi con uno scialle. E oltre a regalarle lo scialle le regalò anche un gioiello che si coordinava bene con lo scialle.

Rav Nosson Zvi rimase in silenzio quando la coppia entrò. La persona che li accompagnava incominciò a spiegare la situazione, ma il rosh yehiva lo interruppe. “So chi sono queste persone. Penso al loro dolore.” Si girò verso il marito e chiese “hai mai la sensazione che la gente ti stia osservando?”. Il marito annuì. E il rosh yeshiva aggiunse: “anch'io ho la stessa sensazione quando cerco di esprimermi e la gente non mi comprende [dato che soffro di parkinson].” E il rosh yeshiva e la coppia piansero assieme.

Quando Yosef si riunì con i fratelli in Egitto, Yosef e Biniamin piansero l'uno sulla spalla dell'altro. Rashi spiega che piansero per la futura distruzione dei Templi. Cosa c'entra la distruzione del Bet Ha-Mikdash con la riunione dei fratelli? Il complicato processo di riunificazione elaborato da Yosef serviva per rettificare la vendita di Yosef da parte dei fratelli. Il test venne superato, ma solo in parte. Infatti Yehuda si riferì a Biniamin con il termine “ragazzo” anzichè “fratello”. C'era ancora qualcosa che mancava nell'unità tra i fratelli. E tale incompletezza era sufficiente per la distruzione del Tempio attribuita proprio all'odio gratuito. E finchè tale odio gratuito non viene rettificato il Bet Ha-Mikdash non verrà ricostruito.

Lo scorso Shabbat l'ho passato con un gruppo di oltre cento studenti universitarie alle quali veniva presentato per la prima volta l'ebraismo osservante. Le domande si sono protratte fino alle 4 di mattina e hanno incluso temi quali le relazioni, l'omosessualità, le parrucche e, ovviamente, i recenti fatti di Bet Shemesh. Uno Shabbat di questo genere non può certo riparare lo strappo di Bet Shemesh, ma è sicuramente un passo nella giusta direzione.

Non mi sono mai pentito di aver scelto la via dell'osservanza. Non posso nemmeno immaginare la mia vita senza la Torà. Riguardo ai recenti episodi è irrealistico pensare che un'intera società possa raggiungere i livelli dei leader le cui vite ho studiato con passione negli ultimi vent'anni. Ma dovremmo almeno cercare di emularli nel rendere l'incontro con ogni persona al mondo, in particolare con gli ebrei, un'esperienza positiva. Provo invece un profondo dolore e fastidio verso coloro che, oltremodo insularizzati, hanno perso per strada tale messaggio.

Liberamente adattato da un articolo di Rav Jonathan Rosenblum.
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mercoledì 11 gennaio 2012

AMA IL TUO PROSSIMO!

Sono diventato osservante in età relativamente avanzata. Avevo quasi trent'anni ed ero già sposato quando ho varcato per la prima volta le porte della yeshivà Or Sameach. Non ricordo l'intero percorso che mi ha portato all'osservanza, ma l'elemento senza dubbio più importante nella nostra decisione è stato il contatto con persone di una raffinatezza e profondità che non avevamo mai incontrato prima.

Gli ultimi vent'anni li ho passati scrivendo le biografie dei leader ebrei moderni. Ciò che accomuna le vite dei diversi personaggi che ho studiato è l'aver messo in pratica il comandamento della Torà secondo il quale “grazie a te il Nome del Cielo verrà amato”.

Negli anni '30 Rav Eliahu Eliezer Dessler, uno dei principali pensatori ebrei del secolo scorso, si manteneva a Londra insegnando ai giovani che frequentavano le scuole pubbliche. Diede istruzioni ad uno dei suoi studenti di dare una moneta ad ogni povero che incontrava per strada. Ad un altro suggerì di salire al secondo piano dell'autobus. Dato che per andare alla lezione doveva scendere dopo solo una fermata era probabile che il bigliettaio non lo raggiungesse in tempo. Il ragazzo, che era chiaramente riconoscibile come un ebreo religioso, dava le monete al passeggero che si trovava al suo fianco dicendo a gran voce: “il bigliettaio non è ancora passato, la prego di pagarlo per me”. La lezione è chiara: non si deve solo santificare il nome di D-o attravero le proprie azioni, ma si deve anche fare il possibile per mettersi in condizione di farlo.

Ogni opportunità era buona per insegnare la Torà. Una volta Rav Yaakov Kamenetsky, il grande saggio dell'ebraismo americano, si trovava nella sala d'attesa di un medico. Tolse di tasca una palla e si mise a giocare con un ragazzino. Quando gli chiesero se non si trattava forse di un comportamento inappropriato per una persona del suo calibro, egli rispose: “non so se questo ragazzo avrà un'altra opportunità di incontrare un vecchio ebreo con la barba bianca ed è importante che ne abbia un'impressione e un ricordo positivi”. Quando mancò, un gruppo di suore di Monsey scrissero una lettera in cui piangevano la perdita del vecchio rabbino che sorrideva sempre quando le incontrava durante le sue passeggiate.

Per tredici anni il Klausenberger Rebbe ha girato il mondo per raccogliere fondi necessari a costruire l'ospedale Laniado di Netanya. Quando venne a sapere che nell'ospedale veniva distribuito ai pazienti un opuscolo sulle regole di purezza familiare, diede istruzioni di fermare immediatamente tale distribuzione. Spiegò che l'ospedale non era stato creato per fare proseliti, ma per costituire un esempio del modo in cui si cura secondo la Torà. Il contratto dei medici prevede una clausola che impedisce loro di fare sciopero; l'ospedale è dotato di respiratori in abbondanza per non giungere mai a dover decidere chi riceve e chi non riceve un respiratore; gli studenti di medicina, ispirati dal Rebbe, sono disposti a passare giorno e notte al capezzale di pazienti dati per spacciati; e vengono utilizzate siringhe più costose in quanto meno dolorose. Il Rebbe era famoso per essere rigoroso nella shmirat enaim (il controllo di ciò che guardava). Ma dopo la guerra (nella quale perse moglie e undici figli), quando sentì che nei campi di rifugiati bellici alcune ragazze, distrutte dall'esperienza della guerra, avevano aperto un quartiere a luci rosse, andò di persona a prenderle per riportarle sulla retta via.

Ogni persona viene trattata con il più gran rispetto ed empatia. Una volta Rav Yaakov Kamenetsky e un altro rosh yeshiva entrarono in un taxi in cui vi era della musica a tutto volume. L'altro rosh yeshiva chiese al tassista di spegnere la radio, ma Rav Yaakov gli disse di non farlo. Spiegò che il lavoro del tassista è così monotono che non avevano il diritto di chiedergli di spegnere la radio. E citò un passo talmudico per corroborare la propria opinione.

Rav Shlomo Zalman Auerbach, il grande decisore halachico, non si scaraventava dal sedile dell'autobus se una donna non vestita secondo l'halachà si sedeva a fianco a lui. Per non farla restare male premeva il pulsante della fermata e si alzava come se volesse scendere.

Una famiglia ortodossa si prese carico delle spese per la cura della fertilità per una coppia non religiosa e li mandò in Israele a ricevere la benedizione da alcuni tzaddikim. Tra questi vi era anche Rav Nosson Zvi Finkel, il rosh yeshiva della yeshivat Mir scomparso qualche settimana fa. Quando giunsero a casa sua con un abbigliamento estivo che non si vede di solito a Meah Shearim, la rebbetzin abbracciò la moglie calorosamente e si complimentò con loro dicendo: “siete entrambi ebrei. C'è da essere fieri al giorno d'oggi che due ebrei si sposino tra loro”. La rebbetzin spiegò poi che il marito era un uomo talmente santo che per rispetto era bene coprirsi con uno scialle. E oltre a regalarle lo scialle le regalò anche un gioiello che si coordinava bene con lo scialle.

Rav Nosson Zvi rimase in silenzio quando la coppia entrò. La persona che li accompagnava incominciò a spiegare la situazione, ma il rosh yehiva lo interruppe. “So chi sono queste persone. Penso al loro dolore.” Si girò verso il marito e chiese “hai mai la sensazione che la gente ti stia osservando?”. Il marito annuì. E il rosh yeshiva aggiunse: “anch'io ho la stessa sensazione quando cerco di esprimermi e la gente non mi comprende [dato che soffro di parkinson].” E il rosh yeshiva e la coppia piansero assieme.

Quando Yosef si riunì con i fratelli in Egitto, Yosef e Biniamin piansero l'uno sulla spalla dell'altro. Rashi spiega che piansero per la futura distruzione dei Templi. Cosa c'entra la distruzione del Bet Ha-Mikdash con la riunione dei fratelli? Il complicato processo di riunificazione elaborato da Yosef serviva per rettificare la vendita di Yosef da parte dei fratelli. Il test venne superato, ma solo in parte. Infatti Yehuda si riferì a Biniamin con il termine “ragazzo” anzichè “fratello”. C'era ancora qualcosa che mancava nell'unità tra i fratelli. E tale incompletezza era sufficiente per la distruzione del Tempio attribuita proprio all'odio gratuito. E finchè tale odio gratuito non viene rettificato il Bet Ha-Mikdash non verrà ricostruito.

Lo scorso Shabbat l'ho passato con un gruppo di oltre cento studenti universitarie alle quali veniva presentato per la prima volta l'ebraismo osservante. Le domande si sono protratte fino alle 4 di mattina e hanno incluso temi quali le relazioni, l'omosessualità, le parrucche e, ovviamente, i recenti fatti di Bet Shemesh. Uno Shabbat di questo genere non può certo riparare lo strappo di Bet Shemesh, ma è sicuramente un passo nella giusta direzione.

Non mi sono mai pentito di aver scelto la via dell'osservanza. Non posso nemmeno immaginare la mia vita senza la Torà. Riguardo ai recenti episodi è irrealistico pensare che un'intera società possa raggiungere i livelli dei leader le cui vite ho studiato con passione negli ultimi vent'anni. Ma dovremmo almeno cercare di emularli nel rendere l'incontro con ogni persona al mondo, in particolare con gli ebrei, un'esperienza positiva. Provo invece un profondo dolore e fastidio verso coloro che, oltremodo insularizzati, hanno perso per strada tale messaggio.

Liberamente adattato da un articolo di Rav Jonathan Rosenblum.
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domenica 18 dicembre 2011

GOCCE DI MUSSAR: PROBLEMI

Non raccontare a D-o che hai problemi.

Racconta ai tuoi problemi che hai D-o.

Detto yiddish
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sabato 10 dicembre 2011

Q&A: COME SI FA AD AVERE CIBO CALDO PER IL PRANZO DI SHABBAT?

DOMANDA. Come si fa ad avere del cibo caldo per il pranzo di Shabbat?

RISPOSTA. Abbiamo visto nell'articolo precedente (vedi link) che di Shabbat è proibito mettere a scaldare del cibo freddo sulla plata o fuoco coperto. Si può invece lasciare il cibo sulla plata o sul fuoco coperto già da prima dell'inizio dello Shabbat.

Ciò va bene per venerdì sera, ma molti cibi si rovinano se rimangono al caldo per 12-16 ore. Come di fa allora ad avere del cibo caldo e gustoso anche Shabbat a pranzo?

Vi sono varie possibilità. Quanto segue vale però solo per i cibi solidi completamente cotti senza del vero e proprio sugo, ma non per i cibi liquidi.

L'opinione facilitante. Innanzitutto per i sefarditi che seguono Rav O. Yosef shlit'a abbiamo visto che è permesso prendere del cibo solido completamente cotto e metterlo sulla plata. È preferibile che lo faccia un non ebreo. Ma dato che gli altri poskim sefarditi e tutti quelli ashkenaziti non lo permettono è preferibile scaldare il cibo in altri modi.

Plata col timer. Se si collega la plata ad un timer è permesso dire ad un non ebreo di mettervi sopra il cibo solido completamente cotto quando la plata non è attiva. Per esempio il timer la può staccare dopo la cena e ricollegarla la mattina. Il non ebreo può prendere dal frigo il pesce al forno, il pollo arrosto con patate e il riso bollito (purchè non venga arrostito sulla plata) e metterli sulla plata prima che il timer la attivi. Shemirat Shabbat Ke-Ilchatà (1, 32 n. ed.).

Chollent. Inoltre si può mangiare il chamin o chollent (carne, patate, orzo e fagioli) che si lascia cuocere su un'apposita pentola a cottura lenta da subito prima dell'inizio dello Shabbat.

Sul coperchio di una pentola. Altrimenti si può prendere dal frigo il cibo solido completamente cotto e metterlo sul coperchio di una pentola che si trovi sul fuoco o sul coperchio del bollitore elettrico. Shemirat Shabbat Ke-Ilchatà (1, 42 n. ed.).

Pentola rovesciata. Nel caso in cui non vi sia già una pentola sul fuoco, è permesso mettere una pentola rovesciata sulla plata e mettervi sopra il cibo. Shemirat Shabbat Ke-Ilchatà (1, 44 n. ed.).

Nell'acqua calda. Se i cibi sono lessi (per esempio pollo lesso, spaghetti e riso bolliti) è permesso metterli in una pentola d'acqua calda che sia stata rimossa dal fuoco, ma non direttamente nella pentola che si trova ancora sul fuoco o sulla plata. Shemirat Shabbat Ke-Ilchatà (1, 15 n. ed.).

Negli ultimi tre casi si tratta di azioni che non assomigliano alla cottura.
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