giovedì 9 febbraio 2012

SOLDI E TORÀ

Quando D-o promise ad Avraham Avinu che i suoi discendenti avrebbero ricevuto la terra d'Israele, predisse anche l'esilio e l'uscita dall'Egitto.

Ma assieme a questi due cardini della nostra religione, nella profezia viene menzionato anche un altro particolare, ovvero che “usciranno [dall'Egitto] con grandi ricchezze” (Bereshit / Genesi 15, 14).

In questi versetti nei quali viene riassunto il destino e la storia del popolo d'Israele, il riferimento al poco prosaico danaro sembra un dettaglio irrilevante, se non addirittura fuori luogo.

Quattro secoli più tardi, prima di uscire di gran fretta dall'Egitto, Moshè Rabbenu comandò al popolo d'Israele di “prendere dagli egiziani oggetti d'argento, d'oro e vestiti. [ ] E svuotarono l'Egitto.” (Shemot / Esodo 12; 34-36). La profezia viene dunque rispettata.

Ma cosa rappresenta questo “prelievo”? Senza dubbio si tratta del rimborso legittimo di 116 anni di schiavitù e sfruttamento non pagati (di cui gli ultimi 86 di dura oppressione). Ed è stato anche un modo molto efficace per attirare gli egiziani a rincorrere il popolo d'Israele per riprendersi indietro i “propri” schiavi e le “proprie” richezze. E finire così con l'annegare nel Mar Rosso, come previsto dalla profezia data ad Avraham Avinu (“e giudicherò il popolo che li opprimerà”).

Queste spiegazioni non rispondono però alla nostra domanda iniziale: nella profezia di Avraham Avinu, nella quale in poche parole viene encapsulata la sublime storia del popolo d'Israele, perchè menzionare anche il “vil danaro”?

Come tutti i beni, anche i soldi possono essere utilizzati sia in modo positivo che negativo. Ma a differenza degli altri beni, i soldi hanno un fascino particolare: gli uomini sembrano ossessionati dall'ammassare denaro senza un fine ulteriore al denaro stesso.

Il midrash dice infatti che “chi ha cento monete d'oro, ne vuole duecento” (Midrash Kohelet Rabbà 1, 34). E Shlomo Ha-Melech (Re Salomone) spiega la ragione di tale comportamento: “chi ama i soldi, non è soddisfatto dai soldi” (Kohelet / Ecclesiaste 5, 9).

Il midrash, riferendosi al versetto del Kohelet, compara in modo sorprendente i soldi alla Torà e alle mitzvot, anche se nella scala materiale-spirituale essi stanno agli antipodi l'uno dell'altro (Rashi in loco e Vaikrà 22, 1-2). Come si spiega questo paragone?

Abbiamo visto che i soldi costituiscono un desiderio umano che trascende i limiti del finito. E tale desiderio insoddisfabile era stato sepolto dalla lunga e dura schiavitù egiziana. Prova ne è che durante l'oppressione egiziana, la preghiera del popolo d'Israele era solo quella di interrompere la durezza della schiavitù, ma nulla di più (Shemot / Esodo 2, 23 e Or Ha-Chaim in loco).

La Torà e i soldi hanno in comune questo aspetto. “Chi ama i soldi, non è soddisfatto dai soldi e chi ama la Torà non è soddisfatto dalla Torà” (Vaikrà Rabbà 22, 1). La parola kesef (argento, denaro) ha la stessa radice della parola kisufim (desiderio, ambizione). Chi studia la Torà vuole studiarne sempre di più. Chi osserva una mitzvà vuole subito compierne un'altra.

Si può quindi dare una risposta alla nostra domanda iniziale. I soldi erano il mezzo necessario per risvegliare nel popolo ebraico il desiderio per qualcosa che trascendesse le proprie vite. L'obiettivo non erano i soldi stessi, ma era quello di riaccendere la passione necessaria per ricevere la Torà. Una volta ricreato tale desiderio, era possibile utilizzarlo poi nel modo corretto, ovvero per lo studio e la pratica della Torà, culmine del processo di redenzione dall'Egitto.

Si comprende quindi la funzione della ricchezza nell'uscita dall'Egitto e nella profezia data ad Avraham Avinu: di risvegliare nell'uomo il desiderio e la pulsione verso l'Eterno.

Il versetto dice “la mia anima desidera (nichsefà) i giardini di D-o” (Tehillim / Salmi 84, 3). Bisogna però fare attenzione perchè la parola nichsefà può anche voler dire “tramutata in soldi”. Se il desiderio per i soldi prende il sopravvento, si perde per strada il “desiderio per i giardini di D-o”.

Ne deriva che la passione per i soldi che contraddistingue tanti individui, oggi come allora, non è un “male”, ma è anzi un segno di chi ambisce a grandezza. Si tratta però di un utilizzo improprio dato che sarebbe più opportuno indirizzare tale tratto caratteriale verso la sua funzione originaria che è quella della crescita spirituale attraverso lo studio e la pratica della Torà, la nostra vera ed eterna ricchezza.

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