Nelle storie il mito si mescola così tanto alla realtà che spesso non si sa più dove termini il primo e dove inizi la seconda. A maggior ragione se sono di terza o quarta mano. Ma anche se la storia non fosse vera, si dice, la morale è così bella che val la pena raccontarla.
Io, però, ho una storia vera da raccontare.
Una sera a Yerushalaim, prima del calar del sole, carico in macchina alcuni compagni di studio e corriamo alla chatunà della figlia del nostro Rav.
Il nostro Rav è Rav Chaim, sudafricano, che ogni giorno da anni tiene il shiur di Ghemarà. La sua reputazione e conoscenza della Torà sono mitiche.
Arrivati alla sala, una folla ci attende. Oltre mille persone aspettano impazienti l'arrivo della kallà, accalcati attorno alla chuppà a cielo aperto. Molti sudafricani sono a Yerushalaim per le vacanze e salutano calorosamente i loro connazionali che vivono in Eretz Israel e che non vedono da tempo.
Il chattan prega intensamente ad occhi chiusi. Qualche lacrima scende timidamente dagli occhi. I padri dello sposo e della sposa, tesi, lo circondano.
Gli ultimi raggi del sole dipingono di rosa la bianca pietra di Yerushalaim. Sembra un regalo per la sposa. Il brusio termina. La banda intona una dolce melodia. È arrivata la kallà.
Gira sette volte attorno allo sposo. La tensione è palpabile. Un silenzio assoluto avvolge la sala, mentre illustri Rashe' Yeshivot, veri e propri sifre' Torà ambulanti, leggono le berachot che sanciscono il matrimonio. Le tefillot silenziose dei presenti, unite nell'augurare il successo di questa coppia, sembrano udirsi. E la gente continua ad arrivare. La folla è enorme.
Finalmente il bicchiere viene rotto. La banda si scatena. La folla esplode. Oltre mille, forse duemila persone cercano di andare sotto la chuppà per abbracciare i genitori, finalmente sorridenti. Una bolgia ed una felicità indescrivibili.
A forza di gomiti e dopo un paio di onde di risacca raggiungo finalmente il Rav. Una forte stretta di mano, un mezzo abbraccio facendo attenzione a non fargli cadere il cappello. Il classico ma sentitissimo mazal tov.
Nemmeno finisco, che sopraggiunge un uomo alto, magro e distinto. Cappotto nero, barba bianca e due occhi penetranti. Incute rispetto e timore. Chi è? Niente meno che l'Av Bet Din del Sud Africa.
Non si vedevano da tempo. Rav Chaim viene strappato dalle mie braccia con decisione. Un abbraccio intenso. Poche parole. E poi un'altra persona. Un altro mazal tov.
La marea di gente che balla mi trascina a ritmo di musica e mi porta lontano dalla chuppà. Non posso trattenermi di più. Rientro a casa, la musica ancora nelle orecchie, contento di essere riuscito a partecipare. La festa continua fino a notte fonda.
Il mattino successivo, piegato sulla pagina di Ghemarà tra qualche centinaio di studenti, sento una mano appoggiarsi dolcemente sulla mia spalla. Mi giro. È Rav Chaim.
Sorpreso, mi alzo. Non riesco nemmeno ad aprire bocca che con faccia preoccupata mi dice “vorrei scusarmi per essere stato brusco con te ieri sera e poco rispettoso nell'averti interrotto mentre mi stavi parlando”.
Rimango di stucco. Non so cosa dire. Un padre che ha appena sposato sua figlia, assalito da un migliaio di persone e travolto da un milione di emozioni, riesce a notare che un suo involontario comportamento, anche se giustificabilissimo e innocuo, potrebbe (forse!) essere stato preso male da uno dei duemila presenti. E ha l'umiltà di tenerlo a mente fino al giorno dopo e venire a scusarsi.
Da Rav Chaim non impariamo solo la Ghemarà.
Shanà tovà
Michele Cogoi
Io, però, ho una storia vera da raccontare.
Una sera a Yerushalaim, prima del calar del sole, carico in macchina alcuni compagni di studio e corriamo alla chatunà della figlia del nostro Rav.
Il nostro Rav è Rav Chaim, sudafricano, che ogni giorno da anni tiene il shiur di Ghemarà. La sua reputazione e conoscenza della Torà sono mitiche.
Arrivati alla sala, una folla ci attende. Oltre mille persone aspettano impazienti l'arrivo della kallà, accalcati attorno alla chuppà a cielo aperto. Molti sudafricani sono a Yerushalaim per le vacanze e salutano calorosamente i loro connazionali che vivono in Eretz Israel e che non vedono da tempo.
Il chattan prega intensamente ad occhi chiusi. Qualche lacrima scende timidamente dagli occhi. I padri dello sposo e della sposa, tesi, lo circondano.
Gli ultimi raggi del sole dipingono di rosa la bianca pietra di Yerushalaim. Sembra un regalo per la sposa. Il brusio termina. La banda intona una dolce melodia. È arrivata la kallà.
Gira sette volte attorno allo sposo. La tensione è palpabile. Un silenzio assoluto avvolge la sala, mentre illustri Rashe' Yeshivot, veri e propri sifre' Torà ambulanti, leggono le berachot che sanciscono il matrimonio. Le tefillot silenziose dei presenti, unite nell'augurare il successo di questa coppia, sembrano udirsi. E la gente continua ad arrivare. La folla è enorme.
Finalmente il bicchiere viene rotto. La banda si scatena. La folla esplode. Oltre mille, forse duemila persone cercano di andare sotto la chuppà per abbracciare i genitori, finalmente sorridenti. Una bolgia ed una felicità indescrivibili.
A forza di gomiti e dopo un paio di onde di risacca raggiungo finalmente il Rav. Una forte stretta di mano, un mezzo abbraccio facendo attenzione a non fargli cadere il cappello. Il classico ma sentitissimo mazal tov.
Nemmeno finisco, che sopraggiunge un uomo alto, magro e distinto. Cappotto nero, barba bianca e due occhi penetranti. Incute rispetto e timore. Chi è? Niente meno che l'Av Bet Din del Sud Africa.
Non si vedevano da tempo. Rav Chaim viene strappato dalle mie braccia con decisione. Un abbraccio intenso. Poche parole. E poi un'altra persona. Un altro mazal tov.
La marea di gente che balla mi trascina a ritmo di musica e mi porta lontano dalla chuppà. Non posso trattenermi di più. Rientro a casa, la musica ancora nelle orecchie, contento di essere riuscito a partecipare. La festa continua fino a notte fonda.
Il mattino successivo, piegato sulla pagina di Ghemarà tra qualche centinaio di studenti, sento una mano appoggiarsi dolcemente sulla mia spalla. Mi giro. È Rav Chaim.
Sorpreso, mi alzo. Non riesco nemmeno ad aprire bocca che con faccia preoccupata mi dice “vorrei scusarmi per essere stato brusco con te ieri sera e poco rispettoso nell'averti interrotto mentre mi stavi parlando”.
Rimango di stucco. Non so cosa dire. Un padre che ha appena sposato sua figlia, assalito da un migliaio di persone e travolto da un milione di emozioni, riesce a notare che un suo involontario comportamento, anche se giustificabilissimo e innocuo, potrebbe (forse!) essere stato preso male da uno dei duemila presenti. E ha l'umiltà di tenerlo a mente fino al giorno dopo e venire a scusarsi.
Da Rav Chaim non impariamo solo la Ghemarà.
Shanà tovà
Michele Cogoi
bellissima....ce sempre da imparare dai saggi...grazie e shana tova
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