L'accensione dei lumi di Shabbat («hadlakat nerot Shabbat») e di Yom-Tov è una mizvà. Vengono riportate tre motivazioni: [1]
i) Kevod Shabbat (l'onore dello Shabbat). Dato che Shabbat è di importanza fondamentale per noi ebrei, è opportuno accendere dei lumi per creare un'atmosfera solenne durante la cena dello Shabbat.
ii) Oneg Shabbat (il piacere dello Shabbat). Dato che sarebbe difficile mangiare al buio, la presenza di luce durante il pasto lo rende piacevole.
Per questi due motivi, bisogna che i lumi rimangano accesi presso il tavolo da pranzo fino al termine della cena dello Shabbat. [2]
iii) Shalom Bait (una casa armoniosa). La casa deve essere illuminata per poter muoversi liberamente evitando di incorrere in incidenti che avverrebbero invece se la casa fosse buia.
Ne deriva che se si accendessero i lumi dello Shabbat solo per ottenere Shalom Bait, basterebbe che la casa fosse illuminata e non sarebbe necessario accenderli specificatamente per lo Shabbat. L'accensione di lumi ulteriori sarebbe invece superflua e la berachà sui lumi sarebbe recitata invano. [3] Per onorare lo Shabbat bisogna invece accendere dei lumi avendo l'intenzione di farlo proprio per lo Shabbat.
Se il Kavod Shabbat fosse l'unica ragione per l'accensione dei lumi, sarebbe sufficiente accenderli in una sola stanza, per esempio nella sala da pranzo. Vanno invece accesi in ogni camera che si utilizza durante lo Shabbat e, fatta eccezione per i lumi che vengono accesi presso il tavolo da pranzo specificatamente per lo Shabbat, non è necessario che esse vengano accese specificatamente per lo Shabbat, ma è sufficiente che siano accese. [4]
Nella pratica. La casa deve essere illuminata durante lo Shabbat. Ma per compiere la mizvà non è sufficiente che luci precedentemente accese rimangano accese durante lo Shabbat. Vanno accesi dei lumi prima dell'inizio dello Shabbat avendo in mente che lo si sta facendo per lo Shabbat. Nel caso in cui le luci della casa siano già accese, la procedura normale per compiere la mitzvà è di aggiungere dei lumi che diano luce al tavolo di Shabbat e di recitare su questi la berachà.
Note
[1] Come spiegato in altre circostanze la ragione per cui compiamo la mizvà è che ci è stata comandata da Ha-Kadosh Baruch-Hù e non è soggetta ad alcun'altra motivazione. Le ragioni e motivazioni che vengono fornite permettono da un lato di relazionarci a tale mizvà e dall'altro di stabilirne le applicazioni. Secondo la maggior parte dei Poskim si tratta di una mizvà de-rabbanan (stabilita dai Maestri z.l.).
[2] Si veda il capitolo 2 per ulteriori approfondimenti riguardo a Kavod Shabbat e Oneg Shabbat.
[3] È proibito recitare una berachà invano, ovvero senza che ci sia un motivo valido per farlo. Tale divieto è derivato dal comandamento che vieta di nominare il nome di D-o invano.
[4] Non è necessario lasciare la luce accesa nella camera da letto, ma è sufficiente che rimanga accesa la luce del corridoio.
i) Kevod Shabbat (l'onore dello Shabbat). Dato che Shabbat è di importanza fondamentale per noi ebrei, è opportuno accendere dei lumi per creare un'atmosfera solenne durante la cena dello Shabbat.
ii) Oneg Shabbat (il piacere dello Shabbat). Dato che sarebbe difficile mangiare al buio, la presenza di luce durante il pasto lo rende piacevole.
Per questi due motivi, bisogna che i lumi rimangano accesi presso il tavolo da pranzo fino al termine della cena dello Shabbat. [2]
iii) Shalom Bait (una casa armoniosa). La casa deve essere illuminata per poter muoversi liberamente evitando di incorrere in incidenti che avverrebbero invece se la casa fosse buia.
Ne deriva che se si accendessero i lumi dello Shabbat solo per ottenere Shalom Bait, basterebbe che la casa fosse illuminata e non sarebbe necessario accenderli specificatamente per lo Shabbat. L'accensione di lumi ulteriori sarebbe invece superflua e la berachà sui lumi sarebbe recitata invano. [3] Per onorare lo Shabbat bisogna invece accendere dei lumi avendo l'intenzione di farlo proprio per lo Shabbat.
Se il Kavod Shabbat fosse l'unica ragione per l'accensione dei lumi, sarebbe sufficiente accenderli in una sola stanza, per esempio nella sala da pranzo. Vanno invece accesi in ogni camera che si utilizza durante lo Shabbat e, fatta eccezione per i lumi che vengono accesi presso il tavolo da pranzo specificatamente per lo Shabbat, non è necessario che esse vengano accese specificatamente per lo Shabbat, ma è sufficiente che siano accese. [4]
Nella pratica. La casa deve essere illuminata durante lo Shabbat. Ma per compiere la mizvà non è sufficiente che luci precedentemente accese rimangano accese durante lo Shabbat. Vanno accesi dei lumi prima dell'inizio dello Shabbat avendo in mente che lo si sta facendo per lo Shabbat. Nel caso in cui le luci della casa siano già accese, la procedura normale per compiere la mitzvà è di aggiungere dei lumi che diano luce al tavolo di Shabbat e di recitare su questi la berachà.
Note
[1] Come spiegato in altre circostanze la ragione per cui compiamo la mizvà è che ci è stata comandata da Ha-Kadosh Baruch-Hù e non è soggetta ad alcun'altra motivazione. Le ragioni e motivazioni che vengono fornite permettono da un lato di relazionarci a tale mizvà e dall'altro di stabilirne le applicazioni. Secondo la maggior parte dei Poskim si tratta di una mizvà de-rabbanan (stabilita dai Maestri z.l.).
[2] Si veda il capitolo 2 per ulteriori approfondimenti riguardo a Kavod Shabbat e Oneg Shabbat.
[3] È proibito recitare una berachà invano, ovvero senza che ci sia un motivo valido per farlo. Tale divieto è derivato dal comandamento che vieta di nominare il nome di D-o invano.
[4] Non è necessario lasciare la luce accesa nella camera da letto, ma è sufficiente che rimanga accesa la luce del corridoio.
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