martedì 27 gennaio 2009

PARTNERS NELLA CREAZIONE

Tu Bi-Shvat, il “capodanno degli alberi” per quanto concerne le decime prelevate dai frutti, costituisce un'opportunità per volgere l'attenzione a ciò che hanno da dire i nostri Saggi sul senso generale della vita.


Pubblicato su: Jarchon


La frutta è il cibo dell'anima. Secondo il piano originario della Creazione, la frutta avrebbe dovuto costituire il cibo riservato esclusivamente agli esseri umani. Il Gaon di Vilna ci rivela che ogni volta che una persona mangia da un albero da frutto, egli assorbe la forza potenziale racchiusa nel frutto, la quale ha la capacità di essere concretizzata dall'uomo.

La Torà ci dice che esiste un collegamento tra l'uomo e l'albero da frutto, ed è proprio questa connessione che rende il frutto eccezionalmente adatto ad alimentare l'uomo.

In caso di assedio ad una città, ci è proibito distruggere gli alberi da frutto che circondano tale città: “È forse l'albero del campo un uomo che possa essere abbattuto innanzi a voi durante un assedio?” chiede retoricamente la Torà. Ma queste parole sono state interpretate dai nostri Maestri come un fatto: l'uomo è comparabile all'albero da frutto.

Il Gaon di Vilna, il grande Saggio del diciottesimo secolo, spiega il rapporto intrinseco tra uomo ed albero da frutto utilizzando la ghematria: la parola ebraica Ez (albero) ha lo stesso valore numerico (160) della parola Zelem (immagine), usata dalla Torà per descrivere l'uomo a “immagine di D-o”.

L'albero da frutto simboleggia quindi l'aspetto che contraddistingue l'essere umano, creato ad immagine di D-o. Il Creatore ha instillato nell'uomo la capacità di essere lui stesso creatore, di essere partner assieme a D-o nella creazione. Questo potere creativo è rappresentato proprio dall'albero da frutto.

Vediamo come. Il frutto ha una relazione con l'albero che lo produce che è diversa da qualsiasi altro essere vivente, pianta o animale. Gli animali non creano niente di nuovo, ma piuttosto replicano se stessi.

Ogni mucca è creata “secondo la sua specie” e non come un individuo unico. La nascita di un vitello non rappresenta nulla di realmente nuovo; non fa altro che aumentare il numero di mucche esistenti nel mondo.

Nel mondo vegetale, le nuove piante crescono dai semi, che sono trasformati e scompaiono nel processo di crescita. Il seme e il germoglio non coesistono. Nel momento in cui viene alla luce la propria creazione, il creatore non esiste già più.

L'albero da frutto produce invece frutti che non assomigliano all'albero stesso. Il frutto e l'albero rimangono entità distinte, senza che l'una replichi l'altra. E allo stesso tempo l'albero, per produrre il frutto, non subisce alcuna trasformazione; l'albero e il frutto coesistono.

Rispetto all'albero, il frutto pare come una creazione dal nulla, dato che l'albero non viene impoverito producendo frutti.

Anche l'uomo produce frutti che gli coesistono. E anche questi costituiscono una creazione dal nulla, dato che nel produrli, l'uomo non ne viene impoverito.

I frutti umani hanno due forme: i propri figli e le buone azioni. A differenza degli animali, l'uomo non è semplicemente un esemplare della propria specie; non è scambiabile con nessun'altra persona.

Adamo fu creato da solo, per insegnarci che ogni essere umano costituisce un mondo a sé stante; ogni individuo nasce con un ruolo esclusivo stabilito dal piano Divino, ruolo che solo lui è in grado di portare a compimento.

Ma il ruolo centrale dell'uomo come creatore di frutti, più che dalla sua capacità di riproduzione, è costituito dalle proprie buone azioni. Il verso “Queste sono le generazioni di Noè. Noè era un uomo giusto…” (Bereshit 6:9) ci insegna, dice Rashi, che la principale “generazione” di un uomo giusto è costituita dalle sue buone azioni. La capacità creativa dell'uomo è rappresentata da queste mizvot. Le mizvot che hanno il potere di trasformare il mondo. Ed è questo che i nostri Maestri intendevano quando ci hanno rivelato che non esiste mizvà nella Torà che non abbia il potere di far rivivere i defunti.

Il mondo naturale è basato sulla stasi. Dopo il diluvio universale, D-o promise che non avrebbe più distrutto il mondo intero, o alterato il susseguirsi ordinato delle stagioni. In un mondo di questo tipo, le ipotesi scientifiche possono essere testate attraverso l'osservazione empirica di fenomeni costanti. Ed assieme alla promessa di non distruggere l'ordine naturale, D-o ha comandato le sette leggi Noachidi che l'umanità intera deve rispettare. Ma queste leggi non richiedono un'accettazione per essere vincolanti; non necessitano nessun tipo di creatività umana.

Il mondo della Torà e delle mizvot è invece un mondo in costante mutamento ed evoluzione. Per questo motivo, scrive Rambàn (Nahmanide), nel dibattito Talmudico non esistono prove irrefutabili come nella geometria.

Lo studio della Torà è lo studio di un mondo perfetto in continuo divenire, oltre ad essere il tramite attraverso il quale il mondo è sostenuto e non lo studio di una realtà statica nella quale prove empiriche siano possibili. Diversamente dalle leggi Noachidi, le quali non richiedono nessuna componente creativa da parte dell'uomo, le mizvot della Torà diventano vincolanti solo in virtù dell'accettazione collettiva del popolo ebraico ai piedi del Monte Sinai.

Noi siamo stati e siamo tuttora parte attiva nel patto Sinaitico.

La maggior parte di noi vivono la propria vita ignari dell'incredibile potere che D-o ci ha conferito quando ci ha creati a Sua immagine e somiglianza. E viviamo la vita come se non esistesse nessun'altra finalità se non quella di spostare i mobili da un lato all'altro della stanza.

A Tu Bi-Shvat, mentre mangiamo la frutta dell'albero, dovremmo pensare profondamente al nostro grande potenziale e cioè la capacità di essere partner con D-o nel ricreare il mondo perfetto distrutto dal peccato di Adamo.

“Ho messo le Mie parole nella vostra bocca e vi ho protetti con l'ombra della Mia mano in modo che possiate piantare il cielo e costruire le fondamenta della terra, e dire a Zion: “Tu sei il Mio popolo” (Isaia 51-16)“. Non si legga “il Mio popolo”, in ebraico “Ami”, ma piuttosto “Imi”, “con Me” (Zohar).

Essere il “popolo eletto” da D-o vuol dire niente meno che essere il Suo partner nella creazione del cielo e della terra.

Adattato da un articolo di Rav Jonathan Rosenblum

2 commenti:

  1. dove scrive Rambàn (Nahmanide) che nel dibattito Talmudico non esistono prove irrefutabili come nella geometria?

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  2. Rispondo ad Anonimo (20 Gennaio 2011, 21.48):

    Il concetto espresso si trova nella brevissima introduzione al sefer Milkhemet Ha-Shem del Ramban, che, nel caso non lo sapesse, si trova nel volume di Berachot (il primo del Talmud Babilonese) subito prima delle Halachot del Rif (Rav Yitzchak Alfasi), uno dei "pilastri" del processo decisionale halachico. In questo sefer il Ramban espone questo concetto per "difendere" e spiegare le decisioni halachike del Rif.

    Per chi legge l'ebraico suggerisco di leggere anche la spiegazione di quanto scritto dal Ramban da parte di Rav Yitzchak Hutner z'zl in Pachad Yitzchak, Chanukkah, Ma'mar 9

    La redazione
    mikeamchaisrael.blogspot.com

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