martedì 28 agosto 2007

LETTERA AL PRESIDENTE PERES

E A TUTTI GLI EBREI DI BUONA VOLONTA' (n.d.r)

Questa lettera è stata realmente scritta a Shimon Peres da un rinomato Rav e pensatore. Forse nemmeno l'autore si aspetta di venir realmente ascoltato dal presidente, ma ha comunque ritenuto doveroso provarci. Qualsiasi effetto, grande o piccolo che sia, sarebbe comunque positivo. E non solo sul presidente... il messaggio è infatti valido per ognuno di noi.

Pubblicato su: Jarchon, JewishLife


Caro Presidente Peres,

Nel corso della vita vi sono dei momenti in cui bisogna far sentire la propria voce. Sono quei momenti in cui si assiste ad avvenimenti drammatici e si deve reagire. La Sua recente nomina a Presidente dello Stato d'Israele è uno di questi momenti. E perciò Le scrivo.

Innanzitutto un po' di storia. Sono cresciuto in una famiglia totalmente assimilata in cui coesistevano albero di natale e menorà. Non è stato facile trovare il mio percorso ebraico, ma è stato un processo che ha cambiato la mia vita. Sono dovuto rinascere ed il “parto” è stato duro e doloroso. Ma una volta riconosciuto lo splendore dell'ebraismo ho convinto anche i miei genitori che, a trent'anni dal loro matrimonio civile, hanno deciso di sposarsi con la tradizionale cerimonia di “chuppà e kiddushin” che sancisce il matrimonio ebraico. Tutto ciò è avvenuto tanto tempo fa che me ne ero quasi dimenticato…

Fino al mese scorso, quando Lei sig. Peres è diventato ufficialmente Presidente. Quando l'ho sentita parlare alla K'nesset del nostro futuro, dei Suoi sogni e del popolo ebraico in generale, mi sono reso conto che era mio dovere scriverLe questa lettera. Il motivo è ovvio. Durante la maggior parte degli anni della mia adolescenza non sapevo chi fossi e a che mondo appartenessi. Ero ebreo o gentile? Non avevo identità e, me lo lasci dire, non vi è quasi nulla di peggio. In un mondo in cui è possible avere mille identità, la battaglia più dura è combattare per decidere chi sei veramente. Ho avuto la fortuna di poter scegliere e ho deciso di essere un vero ebreo. Chi ritrova se stesso, abbandona la sua miseria.

Questo preambolo mi conduce a Lei, sig. Peres. Qui, in Israele, abbiamo perso la nostra identità. Molti di noi non sanno più chi siano. Tutti riconoscono che abbiamo bisogno di una “nuova visione” per Israele e il nostro futuro. C'è bisogno di un forte appello al cambiamento e per questo ci rivolgiamo a Lei. I giornali L'hanno già esortatata a sradicare la corruzione, promuovere la civiltà, combattere la violenza nazionale, migliorare le relazioni arabo-isaeliane per favorire le relazioni commerciali con i paesi limitrofi e, ovviamente, portare avanti il processo di pace.

Ma per quanto importanti questi obiettivi possano essere, essi non affrontano il vero problema. Essi sono solo i sintomi della vera crisi che ci attenaglia che sarebbe invece più opportuno affrontare alla sua radice: la nostra identità. Nessuno può negare che la maggior parte dei nostri giovani non hanno la benché minima idea di chi siano. Viene chiesto loro di servire nalla Tzahal, l'esercito israeliano, rischiando la loro vita per questo stato senza più sapere perchè lo fanno. Molti dei nostri leader politici non sanno nulla di ebraismo o lo disprezzano grazie all'educazione erronea ricevuta in gioventù.

Sempre più ebrei in Israele non hanno un'identità ebraica e si chiedono perché debbano vivere in questo meraviglioso paese. Di qui a poco la maggior parte dei nostri migliori giovani si troveranno ad affrontare una crisi di identità di tali proporzioni da lasciare questo paese completamente smarrito. Si tratta di un problema estremamente pericoloso! È una minaccia all'esistenza stessa del nostro popolo e del nostro stato. La mancanza d'identità mette a rischio la nostra vita tanto quanto la mancanza del pane.

Ma cos'è l'identità ebraica? Già prima della nascita dello stato d'Israele molti hanno provato a separare la propria identità dall'autentico ebraismo. Associazioni di lingua Yiddish, Juedische Wissenschaft (“scienze ebraiche”) e Literarische Gesellschaften (“società letterarie”), il Bund e vari movimenti ed eventi culturali ebraici sono stati creati con la speranza di mantenere un'identità “ebraica” vivendo vite prevalentemente non ebraiche. Successivamente abbiamo insegnato ai nostri giovani che l'apice del porprio ebraismo è diventare soldati dell'esercito e che il sionismo è la nuova religione. Alcuni si aspettavano che questi movimenti e ideologie avrebbero soppiantato il “vecchio” ebraismo. Ma non è stato e non può essere.

Guardando in retrospettiva bisogna riconoscere che tutti questi tentativi hanno confuso la nostra gente; queste ideologie non hanno prodotto l'elevazione spirituale che rende orgogliosi del proprio ebraismo, nè hanno portato avanti il “destino” che ha caratterizzato la vita dei nostri padri per migliaia di anni.

Questi movimenti non hanno creato un senso di “missione” per la quale siamo pronti a morire. È vero che vi sono eroici soldati che sono pronti a sacrificare le loro vite per il nostro paese, ma quanto può durare se non diamo loro qualcosa di più di un semplice paese? Le persone sono disposte a morire per i valori per i quali vivono. Ed in definitiva si vive una vita piena di significato solo se vi è un qualcosa di eterno per cui valga la pena di vivere. Ogni altra definizione del nostro ebraismo ci conduce ad un ventaglio di sindromi che vanno dall'insicurezza all'aggressività, dall'autocommiserazione ad un gretto orgoglio tribale.

Questo problema più di ogni altro è vitale per l'ebreo di oggi e per la vita in Israele. Solo se comprendiamo il vero significato dell'ebraismo saremo in grado di cambiare qualcosa. Nessuna nazione può vivere un'identità presa a prestito. Non saremo in grado di combattere violenza e corruzione se, prima di tutto, non ci rendiamo conto di chi siamo. E fino a che ci limitiamo ad essere messaggeri che hanno dimenticato il proprio messaggio, non saremo in grado di cambiare nè noi stessi nè tantomeno il mondo.

Essere ebrei significa essere l'erede morale di coloro che stettero ai piedi del monte Sinai, impegnarsi a vivere secondo i veri fondamenti dell'ebraismo ed essere parte di un reame di sacerdoti; essere parte di una nazione che si dedica a promuovere il benessere dell'umanità intera attraverso gli insegnamenti della Torà, divenendone così un agente morale. Essere ebrei significa celebrare lo shabbat, la più grande istituzione di libertà che il mondo abbia conosciuto, mangiare kasher, perché vi è dignità e santità nel cibarsi, e di vivere secondo lo spirito dei nostri profeti.

L'esperienza storica degli ultimi secoli ci ha insegnato che, a lungo andare, l'identità ebraica può solo essere intesa in termini religiosi, ben diversi rispetto alle “altre” religioni. Non possiamo credere di poter sopravvivere come “cultura” affidandoci ad una costellazione di memorie sbiadite, nostalgia per il tempo che fu, l'esercito israeliano o il sionismo. Dobbiamo rendercene conto. È come se avessimo perso il copione, la sceneggiatura della storia ebraica e dovessimo ritrovarla.

Ed è qui che il Suo ruolo di Presidente dello stato d'Israle diventa cruciale. Il Suo compito si può tramutare in un enorme successo o un fallimento totale. A Lei la scelta. Una scelta che ha bisogno di molto coraggio. Il Suo compito è quello di condurre la nazione a riscoprire le proprie radici ebraiche attraverso il Suo esempio personale, con chiarezza. Lei si trova infatti nella posizione privilegiata di chi non deve dimostrare nulla. Dall'alto della sua età e saggezza Lei si sarà certo reso conto che un grand'uomo può ignorare l'approvazione delle moltitudini una volta che abbia conosciuto se stesso. Vi è un tempo in cui l'uomo deve rendersi conto che anziché dedicarsi alla fama e al successo è più importante dedicarsi alla verità, che va ben oltre il mero interesse personale.

Ma arriviamo al dunque. La esorto ad interessarsi di ebraismo; inizi ad apprendere la grande saggezza della nostra tradizione e dimentichi quanto le è stato insegnato in gioventù, che sembra averLa allontantata dalle Sue radici. Cerchi di riscoprirle per il Suo bene. E cerchi di far sì che queste radici la tocchino nella Sua vera essenza. Inviti dei veri Maestri nella Sua residenza presidenziale e ascolti le loro parole. Vada in sinagoga a shabbat e alle feste e cerchi di rivivere le meravigliose preghiere ebraiche. Reciti a casa Sua il kiddush, la benedizione sul vino, e canti le canzoni delle nostre feste. No, non si preoccupi, non la voglio far diventare di punto in bianco un ebreo ortodosso, ma solo esortarLa a vivere una vita all'insegna dell'amore per l'ebraismo, sotto gli occhi del mondo.

Non abbia paura di cosa dirà la gente quando la Sua vita cambierà rotta. Nessuno sa meglio di Lei che il coraggio viene messo alla prova nei momenti di difficoltà. Ispiri la gente alla radio e alla televisione a seguire il Suo esempio, racconti loro cosa ha scoperto e organizzi incontri in cui si studino i testi tradizionali ebraici che riguardano la civiltà e la tolleranza. Come nella tenda di Avraham Avinu, il primo ebreo che ha avuto il coraggio, quando aveva pressapoco la Sua età, di cambiare rotta nella sua vita. Ed il suo messaggio è diventato eterno. Anche il Suo lo può diventare.

Restituisca al Suo popolo ciò che ha perso. Questa nazione è assetata di identità e spiritualità ed è Suo compito indicare la via del ritorno. Lei ha fatto grandi cose per lo stato d'Israele, ma ha anche compiuto, come tutti, degli errori. E ora ha la possibilità di rimediarvi.

Così facendo otterrebbe molto più durante gli anni della Sua Presidenza di quanto abbia ottenuto nel corso dei decenni in cui è stato membro del parlamento israeliano. Se saprà vincere questa sfida, lascerà un'eredità al cui confronto tutto ciò che ha ottenuto finora risulterà irrilevante. E sarà solo quando i cittadini dello stato d'Israele saranno tornati a se stessi che saremo in grado di ottenere la pace e la civiltà che desideriamo. Solo quando sapremo veramente chi siamo, saremo in grado di negoziare la pace in posizione di forza e non di debolezza come stiamo facendo ora. (Non sarebbe forse più saggio preoccuparsi della nostra sicurezza prima di cercare di fare la pace?).

Infine, sig. Presidente, abbiamo bisogno di un grande esempio ed è ora che Lei prenda la Sua responsabilità. Sono convinto che ce la possa fare. Il coraggio eleva la vita al suo massimo splendore!

Rav Dr. Nathan Lopes Cardozo

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