martedì 29 maggio 2007

EBREI INTELLIGENTI O INTELLIGENZA EBRAICA?

Un recente studio scientifico propone una tesi rivoluzionaria: gli ebrei sono il popolo eletto da D-o perchè sono più intelligenti degli altri popoli. Tale tesi è però rifiutata... 3 secoli fa da un Rabbino "italiano" e ... 3 millenni fa dalla Torà stessa.

Pubblicato su: Jarchon, JewishLife

In un recente articolo apparso su “Commentary” il sociologo americano non ebreo Charles Murray affronta l'unico tema relativo all'ebraismo non ancora sviscerato dall'importante rivista per cui scrive: il “Genio ebraico”.

Lo studio tenta di dare una spiegazione scientifica sul perchè gli ebrei siano presenti in modo sproporzionato rispetto al loro numero nel mondo delle arti, delle scienze, dei media, della medicina e degli affari. Non manca la scontata carellata in cui vengono evidenziate le fondamentali rivoluzioni culturali, religiose e scientifiche apportate dagli ebrei nel corso degli ultimi tremila anni. E nonostante molti di noi possano testimoniare di aver conosciuto diversi membri delle nostre comunità che non eccellono certo per questo particolare tratto, egli presenta il dato scientifico secondo il quale il quoziente d'intelligenza degli ebrei sarebbe ben superiore alla media.

Le note teorie secondo le quali vi sarebbero alcuni fattori genetici recenti che avrebbero determinato lo sviluppo di un'intelligenza superiore coprono periodi storici dall'800 al 1600. Non soddisfatto lo studioso fa notare che queste teorie trascurano un paio di millenni di storia ebraica in cui sono emersi contributi fondamentali tipicamente ebraici quali il monoteismo, l'etica, la giustizia sociale, la metafisica, la Torà, il Talmud, la Cabalà, la filosofia, senso della storia, linguistica ecc. tutti sorti e sviluppati ben prima del periodo analizzato. Il popolo ebraico doveva quindi essere dotato già ai tempi di Mosè di una superiore capacità linguistica e speculativa.

Ed espone quindi la domanda cruciale ed appropriata: com'è possibile che un popolo nomade mediorientale abbia sviluppato già tremila anni fa un'intelligenza superiore ai popoli vicini? La sua tesi è ancora più interessante della domanda stessa: a detta dello studioso, si tratta senza ombra di dubbio del popolo eletto da D-o!

Per quanto io concordi con la tesi, mi trovo un po' meno d'accordo con l'analisi. Rav Chaim ben Attar (autore del magistrale commento alla Torà con il cui nome “Or Ha-Chaim Ha-Kadosh” è noto e per breve tempo Capo della Yeshivà di Livorno) affronta lo stesso argomento già nel 1700.

A seguito dell'uscita dall'Egitto, il sacerdote midianita Itro, dopo aver esplorato tutto lo scibile umano dell'epoca, è l'unico individuo a farsi avanti e a chiedere di unirsi al popolo ebraico. Non appena arrivato egli consiglia la costituzione di un sistema di tribunali in cui Moshè Rabbenu possa delegare l'attività giudiziaria di cui si era occupato fino a quel momento in prima persona. Il contributo di Itro è così importante che l'intera Parashà prende il suo nome.

L'Or Ha-Chaim Ha-Kadosh (Shemot / Esodo 18:21) fa la seguente osservazione: sappiamo che la Torà intera (scritta e orale) è rivelata da D-o a Moshe Rabbenu e nulla è stato aggiunto nè da Mosè stesso nè tantomeno dal sacerdote midianita Itro (si tratta di uno dei 13 principi fondamentali enunicati da Rambam-Maimonide). Una volta fatto questo necessario chiarimento egli pone la bellissima domanda: perchè la Torà ritiene di doverci presentare l'organizzazione della struttura giudiziale “per bocca” di qualcuno? Non poteva essere elencata assieme alle altre leggi in modo “anonimo”? E perchè proprio attraverso Itro e non qualcun'altro?

Spiega l'Or Ha-Chaim Ha-Kadosh che questi versi, immediatamente precedenti la rivelazione Divina ai piedi del Monte Sinai, vogliono farci notare che sia nella generazione in cui ci è stata data la Torà che in quelle successive vi erano e vi saranno sempre individui e popoli dotati di un'intelligenza e sapienza superiori a quella degli ebrei. La Torà vuole suggerirci in questo modo di evitare di commettere l'errore del simpatico studioso americano e di renderci conto che non siamo stati scelti da D-o per la nostra superiore intelligenza nè a livello personale nè di popolo.

Ma allora perchè siamo stati scelti? L'Or Ha-Chaim Ha-Kadosh spiega che la nostra elezione dipende dai meriti dei nostri Padri (Abramo, Isacco e Giacobbe), dall'accettazione incondi-zionale Na'ase' ve-Nishmà (“faremo e capiremo”) compiuta dal popolo d'Israele ai piedi del Monte Sinai (e dalle generazioni successive) e in ultima analisi riconducibile ad un atto di chesed (“bontà”) da parte di D-o.

La Torà ci descrive infatti come un popolo saggio (anche agli occhi dei non ebrei) in relazione alla nostra osservanza, devozione e studio della Torà stessa (Devarim / Deuteronomio 4:4-9). La Torà non è tanto interessata a quozienti d'intelligenza quanto piuttosto a quozienti di osservanza pratica ed interiore. Gli epiteti di encomio nella nostra tradizione non includono termini quali genio e intelligenza, ma piuttosto rettitudine, onestà, dedizione e timore di D-o.

La festa di Shavuot celebra proprio questo aspetto: l'elezione del popolo ebraico ai piedi del Monte Sinai. Ma più che turbare le menti dei non ebrei da tremila anni a questa parte, il concetto di elezione sembra disturbare più che altro gli animi degli ebrei di oggi.

La concezione secondo la quale non siamo tutti uguali e che individui, gruppi di persone ed un popolo intero possano essere scelti per una particolare funzione sembra non essere in sintonia con l'attuale concezione secondo la quale gli individui sono intercambiabili e fondamentalmente uguali. Il fatto che in alcuni circoli tra tutte le festività ebraiche Shavuot sia la meno celebrata può ricondursi all'incapacità di accettare il concetto di elezione.

Ogni festività ha il suo simbolo: lo shofar a Rosh Ha-Shanà, il digiuno a Yom Kippur, le capanne a Sukkot e la mazà (azzima) a Pesach. Ma qual'è quello di Shavuot? Un vero simbolo non c'è, perchè sarebbe riduttivo. Si celebra infatti l'accettazione e lo studio della Torà stessa, ovvero l'unico aspetto che ci identifica veramente come ebrei.

Ricordo quando da bambino a Minchà (la preghiera pomeridiana) di Shabat si faceva a gara per cantare a squarciagola l'ultimo verso del Salmo 111, senza purtroppo capirne la profondità: “Reshit chochmà irat HaShem...” ovvero “Il principio della sapienza è il timor di D-o; buona intelligenza hanno coloro che lo praticano; la Sua gloria dura in eterno”.

Piuttosto che trastullarsi nell'illusione di essere parte di una elite intellettuale o di un popolo geneticamente più intelligente ogni volta che aumenta la percentuale di premi Nobel attribuiti agli ebrei, la presa di coscienza di quanto esposto in modo sublime e succinto da David Ha-Melech (Re Davide) è un atto alla portata di ognuno di noi.

L'individuo che comprende e riconosce l'esistenza di un'intelligenza superiore rivelata nella Torà (scritta e orale), che abbia o meno un quoziente d'intelligenza elevato, compie un atto che io definirei di vera intelligenza ebraica. E la cui ripercussione sulla propria vita, su quella dei suoi figli e sul mondo intero è ben superiore a qualsiasi ottenimento nel campo scientifico o finanziario.

Michele Cogoi

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