martedì 11 novembre 2008

GENITORI, FIGLI ED IMMORTALITA'

Facendo luce su un personaggio biblico normalmente negletto, apprendiamo il ruolo determinante che le nostre intenzioni possono avere nell'educazione dei figli e su come il comportamento di un figlio possa avere un influenza fondamentale sui propri genitori.

Nella Torà vi sono alcuni personaggi di secondo piano che, pur menzionati nel racconto biblico e quindi ritenuti dall’Autore degni di nota, vengono giocoforza trascurati a scapito dei personaggi più famosi che dominano la scena. Una di queste figure secondarie è Terach, il padre di Avraham Avinu (il patriarca Abramo).

La Torà è molto scarna nel raccontarci la vita di Terach. Oltre alla genealogia, apprendiamo che abbandonò la sua casa di Ur Chasdim con l’obiettivo di trasferirsi in Terra d’Israele, che interruppe il suo cammino e si stabilì in una diversa località, Charàn (Bereshit 11: 31-32). Un dettaglio apparentemente privo di rilevanza che poco o nulla ci dice su chi fosse realmente Terach.

Sappiamo che la tradizione, attraverso il Midrash, il Talmud e i commentatori, dipinge Terach in una luce alquanto negativa. Un verso successivo a quelli menzionati ci rivela un dettaglio su Terach che sembra invece in contrasto con tale tradizione. Quando D-o parla ad Avraham Avinu (Bereshit 15-15), gli dice che quando morirà si ricongiungerà con suo padre in pace. Terach ha quindi un posto nel mondo a venire.

Ma se la tradizione è unanime nel descrivere Terach in modo negativo, vi è disaccordo sul perché Terach abbia meritato il dono dell’immortalità. Alcuni commentatori, tra i quali Rashi, deducono da questo verso che durante la sua vita Terach deve aver fatto teshuvà (pentimento, ritorno). Altri ritengono invece che sono i meriti di Avraham Avinu ad aver determinato il giudizio divino favorevole nei confronti del padre.

Quest’ultima posizione è avvalorata dall’affermazione talmudica secondo la quale i meriti di un padre non influenzano il giudizio sul figlio, ma i meriti del figlio influenzano il giudizio sul padre (Sanhedrin 104a). Perché un figlio può condividere i propri meriti con il padre e non viceversa? Evidentemente l’influenza che il genitore ha sul figlio è ben diversa da quella che il figlio ha sul genitore. Non c’è dubbio che la formazione caratteriale dell’individuo è determinata in gran parte dai genitori, mentre le azioni dei figli hanno generalmente un impatto molto limitato sul carattere ormai ben definito dei genitori.

Pertanto, se un individuo è virtuoso, è probabile che i genitori abbiano giocato un ruolo importante nella sua formazione. Tale nesso non è però sempre evidente. Il figlio non assorbe infatti solo i tratti comportamentali manifesti dei genitori, ma assimila anche i tratti più reconditi e le convinzioni più profonde, le quali possono non essere percepite da chi osserva il comportamento del genitore in questione.

Avraham Avinu ruppe con la famiglia e la sua tradizione, ma allo stesso tempo non è pensabile che sia emerso da un ambiente totalmente privo d’influenze positive. È possibile che la comprensione delle ragioni del percorso interrotto sia ciò che la Torà vuole che noi apprendiamo su Terach e sull’impatto che ebbe sul figlio. Perchè Terach desiderò trasferirsi in Terra d’Israele, una terra così lontana? Se voleva solo abbandonare la sua terra natia, perché non dirigersi verso una terra più vicina, dove in effetti terminò il suo viaggio ? E se invece desiderava andare lontano, perché la meta del viaggio doveva essere proprio Israele e non un’altra terra altrettanto distante?

La scelta della meta del proprio viaggio non è certo casuale. La Torà ci informa del viaggio di Terach subito prima del comandamento divino impartito ad Avraham Avinu di dirigersi verso l’esatta destinazione scelta inizialmente dal padre. Il Midrash e i commentatori successivi indicano che Israele era già nota come il luogo ideale per perseguire moralità e dedicarsi alla spiritualità. Su questa base Rav Ovadià Sforno (commentatore biblico vissuto a Bologna tra il quindicesimo e sedicesimo secolo) ritiene esplicitamente che il progetto di Terach di andare a vivere in Israele sia riconducibile ad un’esigenza e desiderio di volersi migliorare. Ovvero un percorso di crescita spirituale.

Va però compreso perché il percorso è stato interrotto a metà strada. Premessa fondamentale è riconoscere la difficoltà del compito di Avraham Avinu che consisteva nel mettere in discussione il paganesimo universalmente diffuso. Sfidare il mondo non è certo compito per deboli. Ed Avraham Avinuvenne scelto sulla base delle sue uniche doti caratteriali e forti convinzioni. Probabilmente non era il solo ad essere in disaccordo con le credenze e pratiche del tempo, ma la sua grandezza sta proprio nel fatto che fu disposto ad esprimere le sue idee ”rivoluzionarie” in pubblico, mettendo così a nudo lefallacità della cultura dominante.

E se Terach era interessato alla moralità e alla spiritualità, non sembra avesse la fermezza di carattere e la determinazione del figlio. E così la pur ottima intenzione di Terach di recarsi in Israele, come spesso accade, si affievolì lungo il cammino. In un mondo in cui era fuori dalla norma trasferirsi a vivere in un altro paese, è plausibile che l’entusiasmo iniziale sia stato messo in discussione ad ogni incontro. E c’è da domandarsi che risposte Terach fu in grado di dare. A se stesso più che agli altri.

Come molti di noi, Terach può quindi essere descritto come un uomo religioso ”potenziale”. Ma il potenziale non ha alcun valore dato che siamo giudicati per le nostre azioni e non le nostre intenzioni. Esiste però un ambito nel quale le nostre intenzioni hanno un ruolo cruciale ed è l’educazione dei nostri figli. I figli copiano tutto quello che i genitori fanno o pensano. E se può essere divertente osservare i figli camminare o gesticolare come i propri genitori, non è altrettanto divertente notare come ereditino anche le cattive abitudini che i genitori stessi nemmeno si rendono conto di avere.

Anche se il nostro comportamento non riflette le nostre convinzioni, i figli sanno molto bene quali siano i valori dei genitori. Tra le pareti di casa il figlio è spesso in grado di internalizzare i valori dei genitori meglio di quanto i genitori stessi abbiano saputo fare con i propri valori.

Ovviamente è estremamente pericoloso educare i figli all’insegna del ”fai come ti dico io e non come faccio io’’. Se si tratta di pura ipocrisia, quasi certamente si ottiene l’effetto contrario. Ma può anche darsi che il genitore voglia sinceramente instillare nel figlio i valori che egli ritiene corretti, sperando che il figlio sarà più forte e determinato nel metterli in pratica.

Un figlio che sente o anche solo percepisce un sincero ma inesaudito desiderio del genitore di dedicare più tempo allo studio della Torà, anche se non riuscirà a capire cosa ha impedito al genitore di farlo, comprenderà che lo studio della Torà è un valore da perseguire. Questa mancanza di comprensione può costituire lo stimolo necessario a tramutare le ambizioni dei genitori in sfide di vita personali dei figli. E non è quindi sorprendente se il figlio sarà molto più coraggioso dei suoi genitori nell’attuare i valori che ha appreso da loro anche solo in modo subliminale.

Si può così spiegare perchè Terach abbia meritato il mondo a venire. Se Avraham Avinu per cercare D-o ha saputo sfidare il mondo, è plausibile che Terach vi abbia avuto un ruolo. I meriti di Avraham Avinu sono quindi la manifestazione dei meriti latenti di Terach. In altre parole, il desiderio sincero di un individuo di fare del bene, anche se non trova attuazione concreta nella propria vita, non è privo di valore. Quanto detto non va però confuso con un banale buonismo. Il Talmud avverte infatti che tale desiderio non ha alcun valore se non troverà mai una realizzazione concreta.

Siamo giudicati quindi non solo per le nostre azioni, ma anche per quelle, positive, che non abbiamo compiuto, ma che, compiute dai nostri figli, sono comunque riconducibili a noi. Il comportamento di un figlio è quindi in grado di cambiare la valutazione che D-o dà della persona stessa.

Questo insegnamento talmudico non solo fa luce su un episodio biblico sul quale non ci saremmo probabilmente mai soffermati, ma dà una connotazione completamente nuova al concetto di individuo. Nell’educare i propri figli (o anche i propri alunni) si crea un’estensione di se stessi, dei propri valori e delle proprie convinzioni. Nel migliorarsi non solo si fa del bene a se stessi e ai propri figli, ma si influenza anche il giudizio sui propri genitori, che siano o non siano più in vita.

L’individuo non è quindi un’entità chiusa in se stessa come siamo soliti ritenere, ma un’entità che trascende i confini della vita.


Michele Cogoi

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