Un sorprendente parallelo tra la storia di Purim e il nazismo, per scoprire le radici antiche dell'antisemitismo moderno
Pubblicato su: Jarchon e Jewish Life
In una limpida notte del 1924 a Landsberg am Lech, dove era imprigionato dal governo Bavarese, Adolph Hitler confidò a Rudolf Hess: “Sai, nutro un profondo odio per la luna. Ha un qualcosa che sa di morte, terribile e inumana. È come se esistesse ancor oggi nella luna un po’ di quel terrore che un dì mandò sulla terra. La odio!”
Fui colpito da un brivido quando udì per la prima volta questa citazione. Perchè la tradizione ebraica considera il continuo rinnovarsi del rilucente circolo lunare come un simbolo del popolo ebraico. Non a caso il primo comandamento dato a noi ebrei in quanto popolo, quando attendevamo l’uscita dall’Egitto, è proprio quello di identificarci attraverso il nostro calendario con la luna. La luna che Hitler temeva.
Ci sono innumerevoli e bizzarri paralleli tra Hitler e la millenaria tradizione ebraica. Un esempio è la sua passione per i corvi, che nel folklore ebraico rappresentano la crudeltà, la quale lo portò persino ad emanare una legislazione speciale a loro difesa e tutela. O come l’amore viscerale per l’arte di Franz von Struck, che, come Hitler stesso testimoniò, ebbe “il più grande impatto” nella sua vita, e i cui soggetti principali sono serpenti. Nella tradizione mistica ebraica il serpente evoca il male e la sua personificazione, Amalek il nipote di Esav, è l’ossessivo nemico di D-o e del Suo popolo che senza apparente motivazione ci attaccò all’uscita dall’Egitto.
Vi è poi l’incredibile storia di uno tra i più ripugnanti seguaci di Hitler, Julius Streicher, l’editore di Der Sturmer, il principale organo tedesco di propaganda antisemita. Nel 1938 l’ignobile rivista giunse a tirare, al suo apice, fino a due milioni di copie. Una tipica copertina consisteva in un primo piano del viso deforme di un ebreo che veniva descritto come “la feccia dell’umanità”. Non mancavano le grottesche caricature di macellai ebrei intenti ad infilare ratti nel tritacarne o, peggio, come demoniaci vampiri che raccoglievano il sangue grondante dai colli forati di bei giovanotti tedeschi.
Nel 1935, parlando ad una conferenza a porte chiuse per giovani studenti nazisti, Streicher con un innegabile atteggiamento amalekiano, dichiarò: “Tutte le nostre battaglie saranno vane se non combatteremo fino in fondo la guerra contro gli ebrei. Non basta estirparli dalla Germania. No! Devono essere cancellati dalla faccia della terra affinchè l’umanità se ne liberi.”
Il sospetto che il cieco, infodato e assoluto odio di Streicher per gli ebrei sia riconducibile alla figura di Amalek rende la storia del suo arresto e della sua morte a dir poco agghiacciante.
Purim è l’unica festa ebraica in cui viene celebrata la sconfitta di un amalekita, Aman. È sufficiente anche solo una rapida e superficiale lettura della storia di Purim per rendersi conto che la debacle dell’infame protagonista è piena di quelle che, di primo acchito, sembrerebbero essere “ironie della sorte”; si presenta nel posto sbagliato al momento sbagliato, e tutti i suoi programmi, pianificati con estrema cura, si rivoltano contro di lui in un modo quasi comico; un tema che la Megillat Ester definisce con le parole v’nahafoch hu “e venne rigirato sottosopra” (9:2).
Questa successione “casuale” di avvenimenti è la caratteristica che contraddistingue la sconfitta di Amalek, le “sorti” da cui Purim prende il nome. Il principale insegnamento della Megillat Ester è proprio che il caso è un’illusione: è D-o che tira le fila della storia. Amalek potrà anche combatterci con il terrorismo ma verrà sconfitto con umorismo.
E così fu il destino di Streicher. Nei giorni successivi alla disfatta finale della Germania, un caporalmaggiore americano, Henry Blitt, recandosi a Berchesgaden, fece una sosta imprevista e si fermò presso una cascina lungo la strada. Lo accolse un ometto barbuto.
“Che ne pensa dei nazisti?” chiese Blitt. “Sono un artista” rispose l’ometto “e non mi sono mai occupato di politica”. “Ma sa che lei sembra proprio Julius Streicher!” scherzò Blitt per rompere il ghiaccio. “Mi ha riconosciuto?!” rispose Streicher, rivelando la propria identità. L’incredulo Blitt riuscì a ricomporsi ed effettuare un arresto del tutto inaspettato. Guarda “caso”, il caporalmaggiore Blitt era ebreo.
Un’ulteriore ironia nella vita di Streicher è costituita dal destino del suo ingente patrimonio. Come riportato dalla rivista americana Stars and Stripes alla fine del 1945, i suoi considerevoli possedimenti vennero venduti ed il ricavato utilizzato per finanziare una scuola agricola per ebrei che si preparavano a trasferirsi in Terra d’Israele. Il patrimonio di Aman, ci informa la Megillat Ester, fu trasferito alla sua nemesi Mordechai.
Moltissimi altri aspetti della vita di Julius Streicher trovano un parallelo nella figura di Amalek come descritta nella millenaria tradizione ebraica. Ma la storia forse più incredibile riguarda la sua morte.
Streicher fu uno dei capi nazisti incriminati e impiccati nel 1946 al processo di Norimberga. Durante il processo, Streicher rimase fedele a se stesso in un modo a dir poco rivoltante. Durante la proiezione di un filmato che testimoniava come fossero stati trovati i campi di sterminio all’arrivo degli alleati, per ragioni di sicurezza una luce venne lasciata accesa nella cabina degli imputati. Molti tra i presenti preferirono osservare le reazioni degli imputati piuttosto che la proiezione degli amassi di corpi, membra squartate e fosse comuni. Pochi tra gli imputati riuscirono a reggere a lungo il terribile filmato.
Goering all’inizio apparve calmo, ma dopo un po’ incominciò ad asciugarsi nervosamente le mani. Schacht girò la testa; Ribbentrop sprofondò il viso tra le mani. Keitel si asciugò gli occhi arrossati con un fazzoletto. Solo Streicher rimase con lo sguardo fisso ed il corpo teso ad osservare attentamente l’intera proiezione, annuendo appassionatamente con la testa.
Non è stata trovata alcuna prova che Streicher abbia mai ucciso alcun ebreo con le proprie mani, ma la sua innegabile istigazione al genocidio venne giudicata come un orribile crimine di guerra. E perciò, assieme agli altri dieci imputati, venne condannato alla forca.
E così fu. Ma non prima di aver colto l’opportunità di pronunciare le sue ultime parole davanti ai giornalisti presenti all’esecuzione: “Heil Hitler. Vado da D-o”. E con il cappio al collo disse chiaramente: “Purimfest 1946!”, un commento decisamente bizzarro e comunque fuori luogo soprattutto considerando che l’esecuzione avvenne in una mattinata d’ottobre.
Il parallelo tra le esecuzioni di Norimberga e Amalek non finisce qui. La Megillat Ester riferisce con dettaglio dell’impiccagione dei dieci figli di Aman avvenuta a Shushan in Persia. Il Talmud racconta che l’undicesimo, una figlia, si suicidò prima dell’esecuzione dei fratelli. A Norimberga, undici uomini furono condannati alla forca, ma solo dieci vennero impiccati. L’undicesimo, il vanitoso ed effemminato Goering, morì poche ore prima dell’esecuzione nella sua cella; aveva ingoiato una ben celata pastiglia di cianuro.
Un elemento ancora più sorprendente è stato portato alla luce dal Rabbino di Belz. Nei rotoli della Megillat Ester, I nomi dei dieci figli di Aman sono scritti prominentemente in due colonne parallele, una struttura estremamente insolita che già di per sè attrae l’attenzione del lettore. Ma ancor più inconsueto è il fatto che, secondo una tradizione halachica che non ha mai trovato alcuna spiegazione, alcune lettere dei nomi incolonnati hanno una dimensione diversa ripetto alle altre. Tre lettere sono più piccole, mentre una quarta è più grande rispetto alle altre.
Secondo la ghematria, ogni lettera ebraica ha un corrispettivo valore numerico. Alla lettera più grande corrisponde il valore numerico sei; mentre il valore numerico delle lettere piccole, sommate tra loro, ammonta a 707. Se la lettera grande si riferisce al millennio e le lettere piccole agli anni nel millennio (nel modo tradizionale di indicare la data ebraica), emerge un dettaglio estremamente affascinante. Secondo il calendario ebraico l’anno 5707, ovvero l’anno 707 nel sesto millennio, corrisponde all’anno civile 1946, quando cioè i dieci nemici giurati del popolo ebraico sono stati impiccati a Norimberga, nello stesso identico modo avvenuto ai loro dieci predecessori a Shushan oltre duemila anni prima.
Ma le sorprese non sono finite. La Megillat Ester (9:13), dopo aver descritto l’impiccagione dei figli di Aman, menziona la loro esecuzione una seconda volta, e si noti che nel secondo caso, nonostante riporti eventi già accaduti, viene utilizzato il verbo al futuro. Sembrerebbe il presagio di esecuzioni ancora a venire.
Per gli ebrei credenti, l’Olocausto è la punta di un iceberg di malvagità che ha le sue radici nel lontano e profondo passato, anche se una delle sue più turpi punte ha forato la relativa pace del mondo moderno.
E mentre ci apprestiamo a celebrare Purim e la caduta dell’amalekita Aman, in un periodo in cui l’odio per gli ebrei si sta nuovamente manifestando, dovremmo meditare sul fatto che il male che egli rappresenta è stato molte volte sconfitto nella storia, ma non è ancora scomparso.
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Tradotto da un articolo di Rabbi Avi Shafran, direttore per gli affari pubblici della AgudathIsrael of America
Pubblicato su: Jarchon e Jewish Life
In una limpida notte del 1924 a Landsberg am Lech, dove era imprigionato dal governo Bavarese, Adolph Hitler confidò a Rudolf Hess: “Sai, nutro un profondo odio per la luna. Ha un qualcosa che sa di morte, terribile e inumana. È come se esistesse ancor oggi nella luna un po’ di quel terrore che un dì mandò sulla terra. La odio!”
Fui colpito da un brivido quando udì per la prima volta questa citazione. Perchè la tradizione ebraica considera il continuo rinnovarsi del rilucente circolo lunare come un simbolo del popolo ebraico. Non a caso il primo comandamento dato a noi ebrei in quanto popolo, quando attendevamo l’uscita dall’Egitto, è proprio quello di identificarci attraverso il nostro calendario con la luna. La luna che Hitler temeva.
Ci sono innumerevoli e bizzarri paralleli tra Hitler e la millenaria tradizione ebraica. Un esempio è la sua passione per i corvi, che nel folklore ebraico rappresentano la crudeltà, la quale lo portò persino ad emanare una legislazione speciale a loro difesa e tutela. O come l’amore viscerale per l’arte di Franz von Struck, che, come Hitler stesso testimoniò, ebbe “il più grande impatto” nella sua vita, e i cui soggetti principali sono serpenti. Nella tradizione mistica ebraica il serpente evoca il male e la sua personificazione, Amalek il nipote di Esav, è l’ossessivo nemico di D-o e del Suo popolo che senza apparente motivazione ci attaccò all’uscita dall’Egitto.
Vi è poi l’incredibile storia di uno tra i più ripugnanti seguaci di Hitler, Julius Streicher, l’editore di Der Sturmer, il principale organo tedesco di propaganda antisemita. Nel 1938 l’ignobile rivista giunse a tirare, al suo apice, fino a due milioni di copie. Una tipica copertina consisteva in un primo piano del viso deforme di un ebreo che veniva descritto come “la feccia dell’umanità”. Non mancavano le grottesche caricature di macellai ebrei intenti ad infilare ratti nel tritacarne o, peggio, come demoniaci vampiri che raccoglievano il sangue grondante dai colli forati di bei giovanotti tedeschi.
Nel 1935, parlando ad una conferenza a porte chiuse per giovani studenti nazisti, Streicher con un innegabile atteggiamento amalekiano, dichiarò: “Tutte le nostre battaglie saranno vane se non combatteremo fino in fondo la guerra contro gli ebrei. Non basta estirparli dalla Germania. No! Devono essere cancellati dalla faccia della terra affinchè l’umanità se ne liberi.”
Il sospetto che il cieco, infodato e assoluto odio di Streicher per gli ebrei sia riconducibile alla figura di Amalek rende la storia del suo arresto e della sua morte a dir poco agghiacciante.
Purim è l’unica festa ebraica in cui viene celebrata la sconfitta di un amalekita, Aman. È sufficiente anche solo una rapida e superficiale lettura della storia di Purim per rendersi conto che la debacle dell’infame protagonista è piena di quelle che, di primo acchito, sembrerebbero essere “ironie della sorte”; si presenta nel posto sbagliato al momento sbagliato, e tutti i suoi programmi, pianificati con estrema cura, si rivoltano contro di lui in un modo quasi comico; un tema che la Megillat Ester definisce con le parole v’nahafoch hu “e venne rigirato sottosopra” (9:2).
Questa successione “casuale” di avvenimenti è la caratteristica che contraddistingue la sconfitta di Amalek, le “sorti” da cui Purim prende il nome. Il principale insegnamento della Megillat Ester è proprio che il caso è un’illusione: è D-o che tira le fila della storia. Amalek potrà anche combatterci con il terrorismo ma verrà sconfitto con umorismo.
E così fu il destino di Streicher. Nei giorni successivi alla disfatta finale della Germania, un caporalmaggiore americano, Henry Blitt, recandosi a Berchesgaden, fece una sosta imprevista e si fermò presso una cascina lungo la strada. Lo accolse un ometto barbuto.
“Che ne pensa dei nazisti?” chiese Blitt. “Sono un artista” rispose l’ometto “e non mi sono mai occupato di politica”. “Ma sa che lei sembra proprio Julius Streicher!” scherzò Blitt per rompere il ghiaccio. “Mi ha riconosciuto?!” rispose Streicher, rivelando la propria identità. L’incredulo Blitt riuscì a ricomporsi ed effettuare un arresto del tutto inaspettato. Guarda “caso”, il caporalmaggiore Blitt era ebreo.
Un’ulteriore ironia nella vita di Streicher è costituita dal destino del suo ingente patrimonio. Come riportato dalla rivista americana Stars and Stripes alla fine del 1945, i suoi considerevoli possedimenti vennero venduti ed il ricavato utilizzato per finanziare una scuola agricola per ebrei che si preparavano a trasferirsi in Terra d’Israele. Il patrimonio di Aman, ci informa la Megillat Ester, fu trasferito alla sua nemesi Mordechai.
Moltissimi altri aspetti della vita di Julius Streicher trovano un parallelo nella figura di Amalek come descritta nella millenaria tradizione ebraica. Ma la storia forse più incredibile riguarda la sua morte.
Streicher fu uno dei capi nazisti incriminati e impiccati nel 1946 al processo di Norimberga. Durante il processo, Streicher rimase fedele a se stesso in un modo a dir poco rivoltante. Durante la proiezione di un filmato che testimoniava come fossero stati trovati i campi di sterminio all’arrivo degli alleati, per ragioni di sicurezza una luce venne lasciata accesa nella cabina degli imputati. Molti tra i presenti preferirono osservare le reazioni degli imputati piuttosto che la proiezione degli amassi di corpi, membra squartate e fosse comuni. Pochi tra gli imputati riuscirono a reggere a lungo il terribile filmato.
Goering all’inizio apparve calmo, ma dopo un po’ incominciò ad asciugarsi nervosamente le mani. Schacht girò la testa; Ribbentrop sprofondò il viso tra le mani. Keitel si asciugò gli occhi arrossati con un fazzoletto. Solo Streicher rimase con lo sguardo fisso ed il corpo teso ad osservare attentamente l’intera proiezione, annuendo appassionatamente con la testa.
Non è stata trovata alcuna prova che Streicher abbia mai ucciso alcun ebreo con le proprie mani, ma la sua innegabile istigazione al genocidio venne giudicata come un orribile crimine di guerra. E perciò, assieme agli altri dieci imputati, venne condannato alla forca.
E così fu. Ma non prima di aver colto l’opportunità di pronunciare le sue ultime parole davanti ai giornalisti presenti all’esecuzione: “Heil Hitler. Vado da D-o”. E con il cappio al collo disse chiaramente: “Purimfest 1946!”, un commento decisamente bizzarro e comunque fuori luogo soprattutto considerando che l’esecuzione avvenne in una mattinata d’ottobre.
Il parallelo tra le esecuzioni di Norimberga e Amalek non finisce qui. La Megillat Ester riferisce con dettaglio dell’impiccagione dei dieci figli di Aman avvenuta a Shushan in Persia. Il Talmud racconta che l’undicesimo, una figlia, si suicidò prima dell’esecuzione dei fratelli. A Norimberga, undici uomini furono condannati alla forca, ma solo dieci vennero impiccati. L’undicesimo, il vanitoso ed effemminato Goering, morì poche ore prima dell’esecuzione nella sua cella; aveva ingoiato una ben celata pastiglia di cianuro.
Un elemento ancora più sorprendente è stato portato alla luce dal Rabbino di Belz. Nei rotoli della Megillat Ester, I nomi dei dieci figli di Aman sono scritti prominentemente in due colonne parallele, una struttura estremamente insolita che già di per sè attrae l’attenzione del lettore. Ma ancor più inconsueto è il fatto che, secondo una tradizione halachica che non ha mai trovato alcuna spiegazione, alcune lettere dei nomi incolonnati hanno una dimensione diversa ripetto alle altre. Tre lettere sono più piccole, mentre una quarta è più grande rispetto alle altre.
Secondo la ghematria, ogni lettera ebraica ha un corrispettivo valore numerico. Alla lettera più grande corrisponde il valore numerico sei; mentre il valore numerico delle lettere piccole, sommate tra loro, ammonta a 707. Se la lettera grande si riferisce al millennio e le lettere piccole agli anni nel millennio (nel modo tradizionale di indicare la data ebraica), emerge un dettaglio estremamente affascinante. Secondo il calendario ebraico l’anno 5707, ovvero l’anno 707 nel sesto millennio, corrisponde all’anno civile 1946, quando cioè i dieci nemici giurati del popolo ebraico sono stati impiccati a Norimberga, nello stesso identico modo avvenuto ai loro dieci predecessori a Shushan oltre duemila anni prima.
Ma le sorprese non sono finite. La Megillat Ester (9:13), dopo aver descritto l’impiccagione dei figli di Aman, menziona la loro esecuzione una seconda volta, e si noti che nel secondo caso, nonostante riporti eventi già accaduti, viene utilizzato il verbo al futuro. Sembrerebbe il presagio di esecuzioni ancora a venire.
Per gli ebrei credenti, l’Olocausto è la punta di un iceberg di malvagità che ha le sue radici nel lontano e profondo passato, anche se una delle sue più turpi punte ha forato la relativa pace del mondo moderno.
E mentre ci apprestiamo a celebrare Purim e la caduta dell’amalekita Aman, in un periodo in cui l’odio per gli ebrei si sta nuovamente manifestando, dovremmo meditare sul fatto che il male che egli rappresenta è stato molte volte sconfitto nella storia, ma non è ancora scomparso.
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Tradotto da un articolo di Rabbi Avi Shafran, direttore per gli affari pubblici della AgudathIsrael of America
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